Nei giorni scorsi ilSicilia.it ha pubblicato un articolo che ha dato voce a diversi imprenditori e intellettuali palermitani, sottolineando la situazione di crescente abbandono della città.
Un allarme lanciato a 360 gradi: dall’emergenza rifiuti, al problema della sicurezza, a quello dei cantieri infiniti, fino alla crisi – non secondaria ma spia di una situazione intollerabile – di molte attività economiche e commerciali, costrette a chiudere. Il tutto, mentre in storiche strade come la via Maqueda viene tollerata una diffusa illegalità, forse scambiata per multiculturalismo, con bancarelle di ambulanti abusivi disseminate ad ogni angolo, senza che nessuno prenda provvedimenti risolutivi. L’indifferenza regna sovrana, mentre l’amministrazione comunale guidata da Leoluca Orlando vivacchia, mettendo avanti slogan che hanno il sapore di una beffa al buonsenso e alla pazienza dei palermitani: “Palermo città mediorientale”, “Palermo capitale dell’accoglienza”, “Palermo capitale dei diritti” e simili…
Il tutto, mentre la mafia sembra stia rialzando la testa e – sia pure decapitata dai propri capi storici – come ha avvertito l’imprenditore Annibale Chiriaco “in modo silenzioso e compiacente cerca di reinvestire a Palermo grossi proventi di attività illecite, importandoli anche da oltreoceano”.
Come se non bastasse, la crisi viene sottolineata in modo fermo anche dalle principali organizzazioni di categoria, come Confindustria e Confcommercio, che nelle scorse ore – per bocca dei loro massimi rappresentanti Alessandro Albanese e Patrizia Di Dio – hanno lanciato l’allarme per un’agonia che sta facendo piombare il capoluogo siciliano nel baratro di una crisi senza precedenti. E inascoltate sono rimaste anche le parole di una palermitana d’adozione come Rita Dalla Chiesa, che a malincuore questa estate aveva detto di voler lasciare Palermo, “perchè stanca di vedere una città incapace al cambiamento“, auspicando comunque che “quella parte della città che non è cresciuta, possa riuscire a crescere“.
Qualcuno potrebbe dire che i problemi ci sono sempre stati e che almeno adesso ci sono i turisti: magra consolazione, se a questi viene offerto uno spettacolo degradante e se la principale via del centro storico si limita a presentare se stessa come il tempio del “friggi e mangia“.
E i successi culturali allora? Com’è lontano l’orgoglio sfoderato per i risultati di “Palermo capitale italiana della cultura”. Se si eccentuano interessanti e importanti iniziative pubbliche o private (nel primo caso, un esempio è il ritrovato Palazzo Reale), oggi abbiamo un assessore comunale alla cultura, il palestinese Adham Darawsha, che oltre a una sfilza di parole d’ordine sfoderate alle inaugurazioni, non pare abbia ancora dato prova di avere una linea culturale e un progetto per la città. Ma forse in questo caso è meglio così, si potrebbe aggiungere…
Palermo dia prova di orgoglio, la parte migliore di questa città stringa un’alleanza e dimostri uno scatto di dignità, non tanto e non soltanto nel nome della nostra millenaria cultura e storia (quella non ce la toglie nessuno, ma non può essere usata come alibi per dormire sugli allori e, come spesso avviene, rivendicare presunte supremazie), ma per salvare la città dal baratro.
Serve un progetto per Palermo. Serve un’alternativa da costruire adesso e che vada al di là dei colori politici e soprattutto, al di là di proclami vuoti sempre più simili a specchietti per le allodole. Solo così si potrà preparare il futuro della città.
Il Genio veglia su di noi, ma è tempo che Palermo non divori più i propri figli, ma finalmente li nutra e garantisca loro un futuro.
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