I nomi scelti dal sindaco Orlando per comporre la sua nuova giunta municipale hanno un significato decisamente politico.
Tralasciando la curiosità che vede insieme nella squadra orlandiana il comunista Giusto Catania e gli ex di Alleanza nazionale Leopoldo Piampiano e Maria Prestigiacomo (un tempo, senza troppi complimenti li avrebbero definiti fascisti), o la genuflessione all’area faraoniana del Pd con la nomina in giunta dell’ingegnere Roberto D’Agostino al Bilancio, una delle novità più di rilievo è il neo assessore alla Cultura, il medico palestinese Adham Darawsha, già presidente della Consulta delle Culture.
Ecco, la domanda che sorge spontanea a proposito di quest’ultima nomina è se per guidare un assessorato strategico come quello alla Cultura della quinta città italiana basti essere una brava persona di origine palestinese o magari ci voglia dell’altro, ad esempio una competenza nel settore. Sì, perchè l’impressione (fortemente accreditata dalle parole di Leoluca Orlando) è che il dottor Adham Darawsha sia stato nominato unicamente per il fatto che egli è un palestinese di Palermo e dunque rappresenti quelle “culture” (per dirla con le parole del sindaco) tanto care al progetto politico orlandiano.
Non ce ne voglia il neo assessore Darawsha che è uno stimato professionista, ma quel che appare da questa mossa è che Orlando abbia anteposto l’immagine e il contenuto “ideologico” della sua idea di “accoglienza” al ruolo concreto che un assessore alla Cultura è chiamato a svolgere. Specie, dopo che in questi anni l’assessorato alla Cultura ha visto al timone nomi come Francesco Giambrone, intellettuale dalla consolidata esperienza e profondo conoscitore del sistema culturale locale e nazionale, e Andrea Cusumano, artista contemporaneo con collaborazioni internazionali, chiamato a traghettare Palermo nell’era di Manifesta.
Da palermitani, ci domandiamo quali saranno le azioni strategiche del neo assessore relativamente ai teatri cittadini (Massimo e Biondo in testa); all’arte contemporanea e ai tanti artisti che, nel dopo-Manifesta, attendono di capire se la Biennale sia stata una meteora (come si teme) o possa consolidare una presenza stabile dei circuiti internazionali in città; quali strategie relativamente al Festino di Santa Rosalia e alla forza di questo brand (mai veramente valorizzato) anche in chiave di programmazione turistico-culturale; quali saranno le azioni del neoassessore in merito a Palazzo Butera, che diverrà presto punto di riferimento non soltanto nazionale grazie alla grande opera di Massimo Valsecchi; o ancora, se vi sia l’intento di valorizzare un altro biglietto da visita nostrano mai realmente considerato come il Genio di Palermo, Padre e Nume tutelare della città, che al di là dell’inutile data da calendario recentemente introdotta, potrebbe essere un altro grande simbolo della Palermo che “vive e mangia” con la cultura. E poi, come integrare l’offerta culturale e museale di Palermo? Come mettere a sistema i gioielli dell’arte e dell’architettura? Dagli oratori serpottiani al Liberty, dal barocco all’arte bizantina? Quali strategie per ulteriormente valorizzare il percorso Unesco Arabo-Normanno? Vi sarà una politica per sostenere e promuovere l’Opera dei Pupi, la cui tradizione è profondamente radicata nella storia cittadina, ma che pare non interessi a nessuno? Quale interlocuzione con gli operatori culturali palermitani e con i teatri privati?
Sono questi solamente pochi interrogativi, a cui speriamo che il nuovo assessore comunale alla Cultura possa rispondere presto con quegli atti concreti che un pubblico amministratore è chiamato a compiere. Ed è un auspicio prima di tutto, per scongiurare di abbandonare Palermo al proprio destino, che è il timore principale di chi ama questa città.
Tutto il resto è demagogia. Tutto il resto è operazione di marketing politico-ideologico. Tutto il resto è noia, come cantava il grande Califano.