Sono passati ventuno anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo, eppure la strada verso una memoria condivisa sembra ancora lunga.
L’oltraggio avvenuto pochi giorni fa alla foiba di Basovizza lo dimostra chiaramente: qualcuno ha imbrattato con spray rosso un luogo sacro, un monumento nazionale da onorare con il silenzio e la preghiera, scrivendo frasi come “Morte al fascismo, libertà al popolo“. Un gesto ignobile, che ferisce il ricordo delle vittime e ostacola il cammino verso la verità storica.
La strage delle foibe, voluta dal maresciallo Tito, resta una delle pagine più oscure del Novecento. Un crimine consumato sul confine orientale, in terre italiane, dove l’umanità fu calpestata.
A Palermo, come ogni anno, il Giorno del Ricordo è stato commemorato, oggi 10 febbraio, con una solenne cerimonia organizzata dagli esuli dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (Anvgd) residenti nell’Isola. Presso la suggestiva Villa Martiri delle Foibe, le massime cariche civili e militari si sono riunite, insieme a loro, per rendere omaggio a chi ha perso la vita e a chi ha dovuto lasciare tutto.
Questa celebrazione apolitica, per gli esuli di Istria, Fiume e Dalmazia e per le loro famiglie, compresi i nipoti nati in Sicilia, non è solo una riconoscimento della tragedia, ma rappresenta un legame indissolubile con le terre abbandonate e con i cari scomparsi. Radunati attorno allo stele che simboleggia il Carso con le sue foibe, trovano conforto nel ricordo e nella condivisione di un dolore mai sanato tra le bandiere delle loro terre italiane.
Una tragedia anche siciliana
Oltre a lei, che scese a Palermo per amore, 6.000 esuli italiani trovarono rifugio in Sicilia, nei campi profughi di Termini Imerese e Cibali, o attraverso altre vie. Qui, con dignità e sacrificio, hanno ricostruito le loro vite, mantenendo viva la loro identità culturale e integrandosi profondamente nella nuova terra come il presidente dell’Anvgd Gino Zambiasi che arrivò qui a 5 anni.
“Abbiamo sempre lottato per far conoscere questa storia, così lontana geograficamente, ma così vicina nei cuori di chi l’ha vissuta. Oggi, grazie anche al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nel 2018 ha riconosciuto il genocidio italiano, c’è una maggiore consapevolezza, ma purtroppo i negazionisti non accettano la verità, creano contro narrazione mentre gli ultimi testimoni scompaiono in anno in anno”, spiega Zambiasi.
Il Giorno del Ricordo e la necessità della verità storica
Il Giorno del Ricordo non è solo un momento di commemorazione, ma un’occasione per diffondere la conoscenza di eventi tragici che hanno segnato profondamente la storia d’Italia. Già prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943, anche se in modo meno frequente, iniziarono le prime infoibazioni. Dopo l’armistizio, i partigiani jugoslavi di Tito avviarono incursioni per conquistare la Venezia Giulia. Con la disfatta nazista del 1945, l’esercito jugoslavo occupò la regione, dando inizio a persecuzioni e soprusi contro gli italiani, considerati nemici del regime. Senza processo, i carnefici gettarono migliaia di nostri connazionali nelle foibe, mentre oltre 300.000 italiani dovettero abbandonare le loro terre ed emigrare.
Il 10 febbraio 1947, le potenze firmarono il Trattato di Pace di Parigi, sancendo l’annessione alla Jugoslavia di quasi tutta la Venezia Giulia e di Zara, già sotto occupazione militare.
Una ferita ancora aperta, che solo attraverso il ricordo e la verità potrà trovare giustizia.
L’onorificenza a Tito
“È giunto il momento di revocare al maresciallo Tito la Gran Croce del Cavalierato della Repubblica, un’onorificenza conferitagli nell’ottobre del 1969. Un’assurdità, se si considera che tale riconoscimento è riservato a coloro che hanno acquisito benemerenze verso la Nazione in ambito culturale, sociale o umanitario – sottolinea Zambiasi –. E invece, solo l’Italia ha potuto premiare chi si è reso responsabile del massacro di migliaia di italiani. Questa vergogna deve essere cancellata. Fino a quel giorno, non sarà resa piena giustizia alle vittime, ai sopravvissuti e ai loro discendenti”.
“Ancora più paradossale è il fatto che, per decenni, a ogni richiesta di revoca si rispondesse che Tito non poteva difendersi dalle accuse. Solo lo scorso anno, il Quirinale, a seguito di una proposta di legge, ha chiarito che “le onorificenze sono legate all’esistenza in vita dell’insignito e decadono con la sua morte” e che “non possono essere concesse onorificenze alla memoria”. Tuttavia – conclude –, nella storia rimarrà il fatto che un assassino è stato premiato, mentre la memoria delle loro vittime continua a essere offesa”.