Carissimi, quante volte di questi tempi avrei voluto scrivergli questa lettera.
“Dottore questa volta non ce l’ho fatta, non ho fatto storie, non ho permesso a loro di attaccarmi le lunghe maniche bianche dietro la schiena, non ho voluto fare il “bastian contrario” come sempre e ho preso la loro medicina. A che serviva ancora dire che non era giusto? E poi a chi? In quanti siamo rimasti? Mi sono dovuto prostrare come tutti, mi sono dovuto distrarre, avrei dovuto imparare ad essere più ipocrita, mi sarebbe bastato vendere il mio intelletto. Avrei provato ancora fastidio nell’incrociare lo sguardo di coloro che avrebbero per l’ennesima volta usato “una pesante memoria” per perpetrare la propria sopravvivenza.
Dottore no, non ce l’ho fatta, mi sarebbero tornate ancora in mente le tante parole dette su chi non si era mai conosciuto, le tante lacrime da coccodrillo di chi allora era infastidito da tante sirene al Suo passaggio e premonendo un atto tragico chiedeva il concentramento dei magistrati all’interno di una caserma.
Mi sarei dovuto chiedere dove sono coloro che brindarono in ambienti privati e dove sono i loro figli, i loro nipoti e soprattutto sapere oggi da che parte stavano.
Mi avrebbe dato fastidio stare in mezzo a chi a tutti i costi avrebbe voluto immischiare le carte, mistificare i ricordi pur di presentarsi come soluzione dei problemi da lui creati.
Dottore no, non c’è l’ho fatta, perché io sono cresciuto avendo di Lei un ricordo superficiale (come tutti quelli che hanno vissuto nel suo stesso periodo), di un servitore dello stato, tra i primi ad aver bisogno di una scorta, fin quando il suo sacrificio nella ricerca di verità e giustizia non l’ha trasformato in un simbolo, un esempio di una terra che poteva cambiare.
Avrei perso tempo a nausearmi nel cercare di identificare chi erano e a chi appartenevano prima di essere lindi e redenti sacerdoti della memoria, tutti coloro che non essendoci, oggi a differenza di me, ricordavano tante cose.
Dottore no, non c’è l’ho fatta, perché ho provato angoscia nel pensare che quel cratere nella nostra memoria era stato chiuso digerendo la verità e che le cose avrebbero ripreso a funzionare come sempre, come prima, peggio di prima, dimostrando di non aver imparato nulla dalla grande eredità lasciata.
Ho seguito i giovani per scoprire quali padri avessero avuto, fin quando non ho scoperto quali padri avrebbero voluto avere e sono rimasto deluso.
Non volevo vedere chi fomenta l’odio e la divisione, non volevo accettare l’idea di chi ha scambiato la Sua tragedia per un “ammortizzatore sociale”, a giovamento di coloro che organizzano eventi e cercano ribalte stimolando esigue vene artistica, narrando anche le memorie intime che per rispetto non andavano toccate.
Dottore no, non c’è l’ho fatta, oggi davanti a tanto cinismo, davanti a tanta divisione, davanti alle non sopite nefandezze che sembrano andare controtendenza ai valori da Lei trasmessi, dando la sensazione di aver dimenticato il tutto, ho avuto la sensazione di non potere più distinguere chi sono i buoni e chi sono i cattivi.
Ancora peggio, il solo sospetto che i cattivi si siano riciclati appropriandosi dei valori e degli strumenti dei buoni, mi ha tagliato le gambe dandomi la personale riprova che l’aver veicolato i Suoi contenuti attraverso queste “grandi celebrazioni” ha perso di efficacia, e pertanto mi sono arreso, … non ce l’ho fatta, non ho opposto resistenza, ho preso le loro medicine e mi sono addormentato come tanti, finalmente.”
Ci sono giornate che restano impresse nella nostra memoria come quel sabato ….
In questi anni ho deciso “per non dimenticare” di dedicare una preghiera, poiché non avendo mai elaborato un lutto così grosso, avrei voluto come tanti veramente capire non il perché, ma come tutto ciò fosse potuto accadere.
Un abbraccio, Epruno