Un altro passo avanti per completare, dopo trent’anni, la più grande incompiuta del sistema idrico siciliano. L’opera in questione è la diga di Pietrarossa, sita a cavallo delle province di Catania ed Enna.
L’iter avviato dal governo Musumeci, infatti, entra nel vivo. Il dipartimento regionale dell’Acqua e dei rifiuti ha aggiudicato, in via provvisoria (con un ribasso del 41,67 per cento, su importo a base asta di 4,2 milioni di euro), la gara per la progettazione definitiva ed esecutiva e la direzione dei lavori al raggruppamento Hmr. Si tratta del secondo step per arrivare all’ultimazione di un’opera ritenuta strategica per garantire un adeguato rifornimento d’acqua ai territori della Piana etnea.
“Si procede a tappe forzate – afferma il presidente della Regione Nello Musumeci – al di là del minimo dei tempi tecnici imposti dalle procedure, per completare l’impianto e mettere la parola fine ai disagi con i quali, per tanti anni, migliaia di agricoltori sono stati costretti a convivere. Voglio rivolgere un ringraziamento al dirigente generale del dipartimento Salvo Cocina per il rispetto dei tempi previsti, da parte dei suoi uffici“.
La diga, una volta ultimata, incrementerà di circa 35 milioni di metri cubi i volumi idrici accumulabili negli invasi siciliani. L’opera riuscirà a salvaguardare le riserve della “Don Sturzo” e garantirà acqua a diciassettemila ettari di terreni, più del doppio di quelli attualmente raggiunti.
Secondo il cronoprogramma del governo regionale, nel giro di alcuni mesi sarà pronto il progetto, poi scatterà la procedura per l’approvazione da parte degli organi competenti che impegnerà circa un anno. Nella primavera del 2021 partirà la gara per i lavori.
“Si tratta di un’opera imponente – dice l’assessore regionale all’Energia e servizi di pubblica utilità, Alberto Pierobon – lunga circa milleduecento metri, che contribuira’ a soddisfare le esigenze degli agricoltori, piuttosto che rimanere eterna incompiuta con un incredibile spreco di denaro“.
La posa della prima pietra risale al 1990, i lavori furono bloccati sul finire – quando mancava solo una minima parte da ultimare – a seguito del ritrovamento di reperti archeologici. Si aprì, quindi, un “conflitto” tra chi sosteneva dovessero prevalere gli interessi archeologici e chi dava priorità a salvaguardare l’opera.
Dopo diversi anni, il commissario straordinario per l’emergenza idrica, con il contributo del Servizio nazionale dighe, e una successiva delibera della giunta regionale hanno risolto la questione dimostrando che gli interessi erano conciliabili e quindi si poteva procedere in favore della ripresa dei lavori. La diga nel frattempo era stata sequestrata.