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Romanzi da leggere online a puntate: primo capitolo de “La vita appesa ai muri” di Caterina Guttadauro La Brasca

giovedì 3 Gennaio 2019
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Caterina Guttadauro La Brasca

La rubrica “Racconti brevi da leggere online”, che abbiamo iniziato qualche settimana fa, ha avuto un successo di lettori interessante e incoraggiate insieme. L’utilizzo della “formula” dei racconti o dei romanzi da leggere a puntate, come abbiamo già scritto, nasce alla fine dell’Ottocento europeo e quindi, questo strumento di intrattenimento culturale, osservato dalla prospettiva dei giorni nostri, dell’Homo technologicus che ha preso prepotentemente il posto dell’Homo sapiens dei secoli scorsi, poteva apparire anacronistica e forse anche fuori luogo.

I risultati, almeno fino ad adesso, ci hanno dato ragione e abbiamo preso in considerazione le proposte di diversi autori e di diverse case editrici che ci hanno chiesto di far parte di questo progetto editoriale, ovvero, quello della lettura breve e veloce da fare online attraverso il nostro magazine.

Il nostro giornale con questo piccolo progetto si muove lungo la linea editoriale che gli appartiene, quella dell’informazione indipendente e quella di diffondere cultura e di stimolare il piacere della lettura attraverso piccole storie da leggere velocemente o, come in questa nuova rubrica, attraverso romanzi da leggere a puntate/capitoli a cadenza settimanale.

L’autore che inaugura questa nuova rubrica di lettura online, è Caterina Guttadauro La Brasca, scrittrice e autrice siciliana, trasferitasi a Bologna poco più che ventenne per amore dell’uomo che da allora è suo inseparabile marito. Guttadauro La Brasca è una donna molto nota nel mondo della cultura e della letteratura italiana, le sue opere letterarie sono sempre state apprezzate da critici e lettori tanto da vantare decine di premi letterari nazionali e internazionali, e nel 2017 l’importantissimo riconoscimento della Presidenza del Senato della Repubblica Italiana che nel mese di giugno le ha conferito la “Medaglia al Merito” proprio per il suo impegno nel mondo della cultura e delle opere letterarie. I suoi romanzi sono molto legati alla Sicilia, la sua terra, e alla gente dell’isola che hanno lasciato nella memoria e nell’anima di Guttadauro La Brasca tracce indelebili che ne hanno condizionato l’arte e la narrativa.

Il romanzo che leggeremo a puntate è “La vita appesa ai muri” ambientato in Sicilia e pubblicato nel 2013, che ebbe un grande successo editoriale, che ha vinto diversi premi letterari e che appassionò tantissimi lettori. Il romanzo narra di personaggi siciliani in cui la precarietà dell’esistenza non è prevedibile ma diviene improvvisamente dirompente. Le certezze della vita, considerate spesso come elementi costanti e immutabili, improvvisamente si trasformano o svaniscono nel nulla. Di fronte alle sfide estreme ogni essere umano tira fuori il meglio o il peggio di sé. La vita appesa ai muri si immerge proprio nelle sfide ultime dell’esistenza umana e segue i suoi personaggi per svelarne gli aspetti più profondi all’interno di una cornice che è quella della Sicilia della prima metà del Novecento.

Ecco il primo dei capitolo. I successivi li pubblicheremo a cadenza settimanale. Buona lettura a tutti voi…

Caterina Guttadauro La Brasca, “La vita appesa ai muri”, Editoriale Programma Ed., Treviso, 2013.

1° capitolo. Nonno Erasmo. Prima parte.

Arrivata in tenda, Giada cercò una persona di riferimento alla quale affidare stabilmente Matteo e, obbedendo al suo istinto giornalistico, si diede un’occhiata attorno e vide tante presenze operative fare le cose più urgenti e più utili.

Una in particolare attirò la sua attenzione, una donna quasi anziana, vigorosa e sorridente.

cover-la-vita-appesa-ai-muri_02Le si avvicinò, presentandosi, e si sentì avvolta da un’ondata di simpatia che, saprà dopo, non era stata distrutta nemmeno dal dolore. Si ritrovò seduta dinanzi a quella donna che disse di chiamarsi Margherita e che le raccontò la sua storia di vita.

Quando Margherita era giovane, appartenendo a una famiglia agiata, si poteva permettere di avere più di una domestica.

Tre erano le sorelle Lumia: Margherita, Emma e Dora. Lavorava presso di loro una bella ragazza, che aveva all’incirca l’età di Margherita e si chiamava Gloria.

Gloria apparteneva a una famiglia povera, era rimasta sola con suo padre che lavorava nei terreni di proprietà della famiglia Lumia.

Allora, per la raccolta, tra i proprietari terrieri e i mezzadri, si faceva a metà e questo consentiva al mezzadro di procurarsi l’olio, il frumento per il pane, la frutta e la verdura, pagandoli con il suo lavoro.

Questi tipi di rapporto creavano quasi delle parentele, tanto era il tempo che si trascorreva insieme.

Alle faccende di casa si alternavano momenti di riposo in cui le ragazze si sedevano accanto a ricamare, scambiandosi confidenze che diventavano veri e propri segreti.

Gloria e suo padre abitavano in casa Lumia, una casa molto grande dove, per volere del padrone di casa, Don Salvo, era stato ricavato uno spazio per loro che, da sempre, vivevano e lavoravano per lui.

Margherita e le sue sorelle non avevano la mamma ma, essendo in tre, si sostenevano l’una con l’altra mentre Gloria, figlia unica, non aveva altro appoggio affettivo se non quello di suo padre.

Tra le tre sorelle, Gloria aveva un rapporto confidenziale con Margherita perché erano coetanee e, fin da bambine, erano state compagne di giochi.

Adesso che erano cresciute, ognuna, osservando l’altra, vedeva se stessa diventata una giovane donna, con un corpo morbido e sinuoso al punto da attirare gli sguardi vogliosi degli uomini che, quotidianamente, frequentavano casa Lumia.

Erasmo era un’ottima persona che, dopo la perdita della moglie, si era chiuso in se stesso, soffocando i suoi bisogni di uomo ancora giovane.

Il solo scopo della sua vita era non far mancare niente a sua figlia. Sappiamo però tutti che la mancanza della mamma crea un vuoto misto a tanta rabbia e dolore per essere stati abbandonati.

Margherita e Gloria condividevano questa rabbia che bruciava di più quando guardavano le altre ragazze con accanto questa presenza importante che le rendeva più sicure e felici.

Le due ragazze facevano tante domande, ma i grandi dicevano di non avere mai tempo per fermarsi a spiegare.

Così Margherita e Gloria si costruirono alcune convinzioni che misero a tacere le loro domande ma, non eliminando il problema, a ogni piccola sofferenza, riaffiorava il rancore per essere state abbandonate.

Le due ragazze potevano permettersi di sognare perché i sogni erano gli unici giocattoli che non costavano niente, e in più potevano essere manipolati a loro piacimento.

Si erano anche giurate che, se avessero avuto un figlio, non lo avrebbero mai lasciato solo, perché non volevano assolutamente che soffrisse come era successo a loro.

Il giuramento di Gloria non aveva fatto i conti con la sua voglia di vivere, con il desiderio di essere ammirata e desiderata dagli uomini. Addirittura, sembrava appagare il suo sentimento di rivalsa interessandosi agli uomini che erano già impegnati sentimentalmente.

Margherita non condivideva il comportamento di Gloria e, più volte, l’aveva messa in guardia sui pericoli che la sua leggerezza le faceva correre.

Suo padre Erasmo era all’oscuro di tutto, perché le sua albe e i suoi tramonti lo vedevano curvo sui campi dove le zolle, arse dal sole, si inumidivano con il suo sudore.

Nessuno delle tre sorelle aveva il coraggio di aggiungere altro dolore a quello che già gli aveva imbiancato i capelli e lo aveva reso curvo come se quelle spalle portassero il peso più grande del mondo.

Così Margherita e le sue sorelle furono testimoni della nascita e della fine dell’amore tra Gloria e Giovanni che, da tempo tutti sapevano, essere promesso a un’altra donna.

Margherita, più di una volta, li vedeva scappare nella stalla dove s’incontravano e, divorati dalla passione, si davano l’uno all’altra senza valutare niente che non fosse la loro voglia di prendere a morsi la vita e appagare i propri sensi.

Questo gioco a nascondino durò alcuni mesi, finché la ragazza che era promessa a Giovanna non ne fu informata.

Come accade per certi maschi che trasudano ‘coraggio’, Giovanni si scaricò di ogni responsabilità, arrivando perfino a dire che era stato adescato.

Così si scrisse la parola fine al sogno di quella ragazza molto incosciente ma anche sprovveduta e sola.

La loro era stata una breve relazione, rinnegata, smentita ma, forse proprio per questo destinata a lasciare un segno incancellabile: un figlio.

Gloria era incinta, un problema dalle proporzioni enormi, che spiazzava tutti perché nessuno sapeva come affrontarlo.

Era, ovviamente, terrorizzata al pensiero di dirlo a suo padre, che sarebbe morto per il dolore e la vergogna.

Tra padre e figlia non c’erano né dialogo né complicità che potevano indurre la ragazza a confidarsi.

Giovanni, opportunamente informato, declinò ogni responsabilità, insinuando vigliaccamente che nessuno gli garantiva che il figlio fosse suo.

I primi mesi trascorsero tra paure, malesseri che Margherita riusciva a nascondere a tutti e ipotesi fatte sinceramente senza credibilità.

Il comportamento di Gloria era cambiato, come stava cambiando il suo corpo che nascondeva, ancora per poco, una vita.

Margherita si sentì chiedere da Erasmo il perché, dato che era la sua migliore amica. Margherita cercò di tranquillizzarlo, attribuendo il cambiamento di Gloria alla stanchezza, a un periodo di irritabilità a cui le donne vanno spesso soggette.

Erasmo, onesto e rispettoso, le credette senza la minima riserva o, forse più semplicemente, ebbe bisogno di crederle.

Erasmo era un’anima talmente pulita che Margherita, da un lato, ne avvertiva l’ingenuità, dall’altro lo credeva un uomo solido, forte di quella forza che solo la bontà sa dare.

Mentre Margherita e le sue sorelle cercavano di dare ordine ai loro pensieri, successe l’imprevedibile e la soluzione del problema divenne un muro dinanzi al quale tutti si dovettero fermare.

Gloria sparì senza alcun cenno, neppure a Margherita. Una mattina, come tante altre, divenne unica, il sole sparì improvvisamente e un grande freddo soffiò in casa Lumia.

Le ragazze, guardandosi, si colpevolizzavano per non aver tentato di farla parlare, di farle confessare le paure, il dolore per aver creduto in un amore che, nonostante fosse stato rifiutato, cresceva dentro di lei.

Margherita si poneva più domande di tutti, pensava che Gloria si fosse sentita braccata, senza mezzi, con un gran senso di colpa per aver coinvolto anche loro nel suo problema, ma, soprattutto, per aver fatto un torto imperdonabile a suo padre.

Le sorelle Lumia, dopo averne parlato tanto, decisero che dovevano dire la verità a Erasmo, la cui buona fede era stata già abbondantemente tradita.

Perciò al rientro a casa dei mezzadri, quando arrivò, sempre per ultimo, Margherita ed Emma lo presero in disparte e dopo averlo fatto sedere, cercarono con tutto il tatto possibile di raccontargli l’accaduto, facendo attenzione a non fare nomi per evitare idee di animosità.

Per tutto il tempo che le due sorelle parlarono, Erasmo tenne la testa bassa e le sue spalle erano curve come se fossero gravate da tutto il peso degli errori umani.

Margherita s’intenerì quando lo vide prendere dalla tasca il suo grande fazzoletto rosso. Come quasi tutti i contadini di allora, lo usava come un improvvisato copricapo per proteggersi dal sole, si soffiò forte il naso e le chiese: «Dove ho sbagliato? Questo vuol dire che non sono stato un buon padre».

Come potevano dirgli che un errore non nasce necessariamente da un altro errore?

Che lui non aveva abbandonato sua figlia ma era lei ad aver abbandonato lui, a essere scappata da tutti, comprese loro?

Emma e Margherita avrebbero voluto che Erasmo si fermasse a cenare con loro, per non farlo sentire completamente solo, ma lui, con la sua mano callosa e scura, rimise il fazzoletto in tasca e disse che andava a letto con queste parole: «Alla mia età non occorre tanto mangiare ma non vedersi accanto nessuno, ti rende un pover’uomo. Gloria non si confidava con me perché forse io non le ho mai fatto capire che poteva farlo. Non c’è niente di peggio di un padre e una figlia che si sentono estranei». Si rimise in testa il berretto e fece un gesto che valeva più di mille parole.

Baciò la mano a Emma, era il suo modo per dirci grazie e noi ci sentimmo inutili per non potergli rendere quel momento meno triste.

Margherita credette di non rendere giustizia al suo dolore dicendo a Emma che era infuriata con Gloria per aver procurato tanto dolore a quell’uomo con l’anima di un bambino, a un padre che non sapeva porsi neppure le domande, figuriamoci se poteva darsi delle risposte.

Dal giorno successivo, Erasmo, per non affrontare lo sguardo e il silenzio di tutti quelli che lo conoscevano e gli volevano bene, rimase in campagna anche la notte.

Per amici aveva la terra, gli animali, il buio e le stelle che non temeva perché rispettavano il suo dolore, che si consumava nel silenzio, ma soprattutto non lo tradivano.

Secondo Erasmo il dolore diventa più pesante quando capisci cosa c’è dietro lo sguardo che sembrava sfuggire al tuo, quando ti danno una pacca sulla spalla come a compatirti.

Quando Erasmo portava gli animali al pascolo, si sedeva, appoggiava il suo bastone e poteva pensare senza paura di essere spiato, credeva che quando era in mezzo alla gente qualcuno potesse leggergli sulla fronte quello che pensava.

Che non era stato un buon padre se non aveva saputo insegnare a Gloria a difendersi dagli uomini che, quando vedono una ragazza bella e sola con un povero vecchio per padre, perdono tutta la loro umanità e lasciano riaffiorare la bestialità del richiamo dei sensi.

A Erasmo sarebbe piaciuto avere un nipote, forse sarebbe riuscito a raccontargli tante cose, a rispondere alle sue domande come non era riuscito a fare da padre.

Quando arrivava col pensiero a un punto che gli procurava dolore, infilava la mano nella tasca del pantalone, talmente consumato che aveva cambiato colore, e tirava fuori un pezzetto di carta di giornale, ci metteva dentro un poco di trinciato forte e fumava, mentre il suo cuore era così triste che gli sembrava di avere un sasso nel petto.

Chi aveva stregato la sua bambina? Era successo qualcosa di così grave da pensare che nessuno potesse aiutarla? Nemmeno le signorine Lumia, delle quali era tanto amica?

E poi sapere il nome a che cosa sarebbe servito? Lui era un povero vecchio, chiunque, soprattutto se giovane, gli avrebbe messo le braccia in croce.

Però è anche vero che Erasmo aveva sempre rispettato tutti, che era di poche parole, si toglieva sempre la coppola in segno di rispetto ed evitava di parlare, perché quando non si ha istruzione si sbaglia anche se non si vuole.

Non rideva mai di gusto, ma accennava qualche sorriso per non mostrare quella bocca sdentata e amara.

Era una persona così umile che un giorno si presentò da Emma per dirle: «Signorina, ora che sono rimasto solo, mi basta una sola camera con un letto, una tavola e una sedia. Stare in mezzo a tante cose significa avere dinanzi tanti ricordi delle persone che hai perso, e questo fa male».

Emma lo accontentò ma quando lui era in campagna, mandava sempre qualcuno a pulirgli la stanza e, sulla sua tavola, c’era sempre pane e formaggio.

I mesi passavano e nulla sembrava essere successo, le chiacchiere si smorzarono ma Emma e Margherita si chiedevano se Gloria avesse partorito, se qualcuno l’avesse aiutata, se avesse messo al mondo un bambino o una bambina.

Non avevano l’ombra di una risposta, ma poi il tempo passa e le risposte arrivano da sole.

La mattina, quando il postino suonava alla porta, una delle sorelle Lumia scendeva a ritirare la posta. Quella mattina toccò proprio a Margherita.

La busta portava il loro indirizzo e come mittente c’era il nome di un parroco.

Emma aprì la lettera, firmata da un certo Don Orazio che le pregava di mettersi in contatto con lui o, possibilmente, di andare a trovarle perché aveva notizie forse importanti per loro.

Lo stupore e la speranza si mescolarono negli animi di Emma e Margherita e fecero la cosa più saggia.

Il giorno dopo le due sorelle andarono in città, si presentarono al sagrestano di una bella chiesa arabo/normanna e chiesero del Parroco.

A prova di quanto chiesero mostrarono la lettera che avevano ricevuto.

Dopo una breve attesa che diede alle due donne la possibilità di ammirare la bellezza artistica di quel luogo sacro, videro venire verso di loro una figura in abito talare, una faccia rubiconda su un fisico in carne.

Margherita pensò che avrebbe potuto essere benissimo il Don Abbondio del Manzoni.

Salutò le due donne, le condusse in sagrestia e fece loro un nome: Gloria, indagando con gli occhi la loro reazione.

Avendo capito che il nome non le aveva lasciato indifferenti, così continuò: «l’altro ieri, come ogni mattina, dopo aver detto messa, mi avvicinai alla buca delle offerte, per svuotarla dei pochi spiccioli che conteneva. Il rumore delle monetine fu sovrastato da un vagito. Assolutamente impossibile, pensai mentre il pianto di un bimbo mi tolse ogni dubbio. Mi lasciai guidare da quei vagiti fino in fondo alla Chiesa, dove, alla fine della navata laterale, accanto al fonte battesimale c’era una cesta con un neonato. Accanto alla cesta c’erano: un biberon con del latte, una borsa con alcuni pannolini, una lettera che, (disse, scusandosi per averla aperta), conteneva tutti i riferimenti per trovare i Lumia».

Le due sorelle confermarono di conoscere Gloria, di sapere della sua gravidanza e di aver fatto dei tentativi per trovarla ma senza risultato.

Il Parroco non capiva di chi stessero parlando, ma Margherita e Emma ora sapevano, con il coraggio della memoria, cosa fare.

Il Parroco, facendo strada, le fece salire negli appartamenti della Canonica e le introdusse in una stanza dove c’era la Perpetua che, quando li vide, fece segno con la mano di non fare rumore perché il bimbo si era appena addormentato.

Si chinarono tutti contemporaneamente su di lui, senza parole, come si rimane sempre dinanzi al miracolo della vita.

Dinanzi a loro c’era un piccolo angelo, paffuto, con tanti capelli scuri come la sua mamma che dormiva sereno, ignaro di essere venuto al mondo per un incidente di percorso e che, appena nato, era già solo.

Le parole erano superate dai fatti. Emma raccontò al Parroco le premesse di quella storia, di Gloria che era sparita senza alcun cenno e di un vecchio che si riteneva punito per il suo comportamento.

Prima di venire via, Emma e Margherita, di comune accordo, fecero battezzare il bambino da Don Orazio.

Così diedero il benvenuto a Emanuele, lo avvolsero nella sua copertina e, con quella piccola vita in mano, tornarono a casa“.

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