Dovevo crescere. Avrei dovuto avere il coraggio di farlo. Tra le fragole di mamma, i libri, la polvere e quel cielo che è il mio, solo mio. Difendermi dalle partenze, avevo già sofferto per tutti quei viaggi che non lasciavano presagire nulla di buono. Uno dietro l’altro e con loro la mia vita. Vedo le stanze dismesse, le tende bruciate dalla polvere e i tappeti attorcigliati sotto il passo dell’ultimo saluto. Un minuto prima di chiudere la porta alla propria storia.
E girano le chiavi della solitudine, un girotondo di irrequietezza farcito dal non coraggio di dirsi addio. Che non è mai utile abbracciarsi mentre tutto attorno brucia. Cresceranno incolte le edere, la natura fa sempre il suo corso. E poi sarà l’ora dei capperi e delle ginestre. Che Giacomo dovrà farsene una ragione.
E tornerà la primavera e sarà un’esplosione verde. E ci saranno le strade, le solite, ma non ci saremo noi. E non ci saranno più quei pezzi di me che adesso riescono a strapparmi solo la pelle con dolore. Brandelli uno dopo l’altro che lasciano i muscoli vivi. Che dolore immane. Una sofferenza che conosco e che non passerà col tempo.
Ignazio lo sapeva che non avrei sopportato un altro addio. Passeggio sotto gli alberi panormiti, li abbraccio, mi insudicio del sudiciume di questa città che magica lo è nonostante tutto.Tutto accade e non accade tra l’umidità stantia del poteva essere e non è stato.
E scivolano i capelli tra le dita, come trame da raccontare. E non avremo il tempo delle notti insonni, sui balconi a domandarci perché la politica in fondo è un’arte bellissima, appesi come sta sospesa la speranza d’essere compresi. E non ho la forza di abbracciare chi già è partito. Lo faccio da lontano, in silenzio con quella malinconia che solo LouReed sa regalarmi.
E il cielo di Paz è pieno di acquarelli e grafite. Mentre tutto narra di un impegno che non può attendere perché suggella l’urgenza dell’esserci. E non sarà questo momento a dare giustizia alle ore spese cercando di comprendere questo peregrinare tra le complessità esistenziali. Mentre il mondo passeggia, noi stiamo dignitosamente fermi.
E il tempo che non avremo sarà per sempre una maledizione. Quello spazio negato alla nostra voglia di stare al gioco. Credere che ci sarà concessa l’attitudine all’esterofilia, mentre danzano i mercati sulle nostre teste come spade di Damocle. E allora bisognerà possedere il coraggio dell’addio o forse dell’arrivederci. E arriveranno i ricordi e le strade bagnate, come carezze gentili sulle strade di Brest. Sarà bello tornare ad essere abbracciati così per caso. Sarà bello abbracciare senza chiedersene la ragione.
Ci avete fottuto i sogni e la speranza. Per sempre. E noi abbiamo perso la nostra battaglia, perché al di là di tutto niente tornerà ad essere come prima e alla fine della fiera avremo perso lo slancio e la voglia di raccontare questi anni.