Ma celiare senza lealtà è un blasfemo alla franchezza
Lo scherzo è bello se non risulta offensivo e inopportuno. Diversamente, può comportarespiacevoli conseguenze o reazioni altrettanto “pesanti”. Un frizzo deve servire per far ridere tutti, non soltanto uno, se no diventa il suo “tiro mancino” ovvero (come da definizione) un’azione sleale e dannosa, di cattivo gusto, che è stato inferta inaspettatamente con furberia e malizia allo scopo di colpire qualcuno in particolare.
Per questa ragione, sono nate diverse espressioni, come il detto “scherzo da preti”,in quanto inatteso da un sacerdote, cui si attribuisce il dovere di una costante serietà.Quest’obbligo, però, non dovrebbe essere una prerogativa clericale. Bisogna saper scherzare. La capacità di fare uso di ironia non è per tutti, richiede specifiche abilità cognitive, tratti di personalità ed educazione. La parola greca sta per “dissimulazione”, “finzione”. Famosa l’ironia di Socrate che si definì “ignorante” rispetto a coloro che credono di sapere.Usata con moderazione e buon senso, dunque, è un modo efficace per alleggerire fatti negativi dei loro connotati spiacevoli.
Purtroppo, però, di questa capacità si fa anche abuso. Ibambini sono licenziosi perché ancora non sanno cosa può causare una affermazione (per innocenza, dunque, e non per mancanza di rispetto). Anche contenuti gravi, proprio perché detti da loro, provocano al massimo una bella risata e qualche espressione “inostrata” (“d’imbarazzo”, L.V. 1997). Noi adulti, al contrario,non possiamo parlare a briglia sciolta. In ambito clinico, è proprio attraverso lo humour che si riescono a dire fatti inaccettabili per la coscienza. Freud diceva: “Scherzando si può dire tutto, pure la verità!”. Tuttavia, l’intento non è malevolo, ma è di cura e il paziente ci autorizza, ingaggiandoci, a usare qualunque mezzo possibile per aiutarli.Anche Pulcinella, nel lontano Cinquecento, o i giullari di corte, nel Medioevo, con le loro battute a effetto, svelavano tutti i retroscena di ricchi e potenti.
Essendo etichettati come “buffoni” o “fool”, in termini shakespeariani, erano autorizzati a dire tutto ciò che volevano perché tanto erano folli. Tuttavia lo facevano con il sorriso, i modi, nel posto, nel momento giusto, adeguandosi agli uditori e non con l’intento di protestare, quindi, di autoledersi, ma di intrattenere amabilmente. Nella selva dello spettacolo (come in quella giornalistica), si muovono da sempre delle figure simili che mettono in evidenza o in ridicolo le caratteristiche di politici o sagome autorevoli. In questo caso, si parla di satira, come strumento di “denuncia”e non di “offesa” sociale, non perseguibile perché i sensi sottesi risultano “comici”. Diversamente accade nella vita quotidiana, quando si incappa in un vastaso.
La parola “sarcasmo”ha in sé criptato un intento aggressivo. Deriva, infatti, dal verbo gr. “sarkazein” che significa “mordersi le labbra”, proprio per indicare l’atto di dire le cose a qualcuno mordendosi le labbra ovvero il rimuginare tipico di chi si rode per qualche ragione (rabbia, insicurezza, invidia, etc.). La radice “sark” significa “carne”, conferendo al lemma il senso originale e ancestrale che è quello di “usare la parola per dilaniare, strappare la carne”. Non tutti sono in grado di rispondere a una “freddura mordente” avvalendosi dei punti deboli dell’avversario.
L’obiettivo del bastagio che usa l’ironia senza filtri inibitori e senza farsi scrupolo è proprio ferire, far sentire in colpa, ridurre e svilire qualcuno, spesso, per il “semplice” gusto di umiliare, offendere, mortificare, deprivare di autostima. Se la loro principale arma comunicativa è basata su giudizi non richiesti, frasi destabilizzanti, offese camuffate dal sorriso, sottolineature non gradite e senza placet, c’è da chiedersi quante vessazioni abbiano subìto.
Queste persone, quando si confrontano con coloro che, anche se sono sicuri di sé, nascondono un nucleo di debolezza e fragilità, possibilmente dato anche dal non riuscire a fedìre gli altri, lo percepiscono, riconoscono e non possono fare a meno di attaccarli, come se compensassero, in questo modo, le ferite a loro inferte, in tenera età, dalle figure significative. Non parliamo dei soggetti mobizzabili. Con loro, in genere, si divertono di più. Si tratta di personalità paranoidi e narcisiste che nascondono rabbia repressa proveniente da un rapporto dipendente e conflittuale con uno dei genitori e che riescono a mantenere alta l’autostima solo avendo controllo sugli altri e sminuendone il loro valore. Celiare senza lealtà è un blasfemo alla franchezza.