Da qui alla fine del decennio un siciliano su quattro avrà più di 65 anni. Le aree interne della Sicilia continueranno a spopolarsi e, soprattutto, da oltre 25 anni le morti superano le nascite.
Il primo allarme serio, nero su bianco, fu messo dal Defr che la Regione ha pubblicato nel 2020. Da quel giorno nessuno dei parametri più importanti ha mutato segno, nè le cifre più importanti sono cambiate se non per qualche irrilevante decimale.
Negli ultimi tre anni inoltre il passaggio dai piccoli centri alle aree metropolitane non contribuisce a rincuorare chi, da un punto di vista demografico punta a riequilibrare gli assetti dei territori e invece assiste con impotenza al progressivo svuotamento delle piccole province. Nei centri meno popolosi di queste non c’è più da almeno 5 anni neanche uno sportello bancario. A supplire, almeno fino a questo momento, per gli utenti anziani che non usano l’home banking, è l’ufficio postale.
Al netto del problema previdenziale con la proiezione in doppia cifra (oltre il 10%) dei siciliani in più rispetto al dato odierno che graveranno sulle spalle di chi ha un lavoro e oggi produce, la mancanza di prospettive occupazionali non lascerà più di tanto spazio ai giovani che, tra un numero chiuso all’Università e uno scandalo di test d’ingresso, avranno avuto la ventura di rimanere nell’Isola.
Lo sblocco dei cantieri delle opere pubbliche e l’impegno del governo regionale in termini di semplificazione burocratica è certamente un aiuto che Ance Sicilia nei giorni scorsi non ha mancato di apprezzare, ma la strada per ottimizzare esiti e ridare linfa alle imprese è ancora lunga.
Non è pessimismo a buon mercato quello che si vuol mettere in evidenza, ma solo un robusto avviso ai naviganti, e quindi ai partiti politici che da qui alla prossima primavera riempiranno la loro agenda di molti di questi contenuti, cadendo dal pero rispetto ai problemi, ma certi delle soluzioni da offrire ai siciliani in coincidenza del ritorno alle urne.
Eppure rischia di essere quella la vigilia che non ti aspetti, l’ultimo miglio che va messo in sicurezza, la bomba della circostanza che esplode nelle mani a tutti. Dopo la fine anticipata della legislatura nazionale, un anno fa il centrosinistra siciliano non è andato oltre gli atti di fede e la devozione nei metodi del passato. Servono poco oggi, probabilmente, per riconquistare voti e posizioni persino con un centrodestra che non brilla di luce propria.
I corpi intermedi non hanno la bacchetta magica e le soluzioni stentano ad arrivare anche da quelle parti.
Anci Sicilia, l’associazione dei sindaci nell’Isola, ha provato in tutti modi, in tempi non sospetti a parlare di gestione associata dei servizi, di risorse finanziarie aggiuntive per i comuni che stanno tornando sull’orlo del baratro e ballano tra un dissesto e una fuoriuscita dallo stesso.
Chi non ha fatto mancare la propria voce è stato Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo. Non bacchetta e non sferza, suggerisce, entra nelle discussioni senza volersi sottrarre, mostra ancora un volto di speranza.
Nell'”Isola che non c’è”, però, serve, molto, molto di più.