Il procuratore generale di Caltanissetta, Antonino Patti, ha chiesto l’ergastolo per Matteo Messina Denaro. “Chiedo che questa Corte confermi la sentenza di primo grado per le stragi di Capaci e di via D’Amelio“. Così al termine della sua requisitoria nel processo che si celebra in Corte d’Assise d’Appello a Caltanissetta a Matteo Messina Denaro, accusato di essere il mandante delle stragi del ’92.
“Riina per portare a termine le stragi aveva bisogno di circondarsi di fedelissimi. La strategia deliberativa ha seguito i passaggi previsti dal codice di Cosa Nostra, per cui per gli omicidi eclatanti bisognava avere il consenso degli organi provinciali, ma in realtà nessuno si sarebbe permesso di contraddire Riina che è un dittatore e solo con alcuni condivide la decisione delle stragi. Questa responsabilità Riina la condivide con Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro“. Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino.
“Riina era un soggetto che, a parere mio – ha aggiunto il penalista – non si fidava nemmeno di sua madre eppure questi due soggetti, Messina Denaro e Graviano erano nel suo cuore. E lo attesta il loro protagonismo nella deliberazione della strategia stragista“. “Riteniamo – ha osservato l’avvocato Trizzino – che non ci siano più le condizioni per un accertamento giudiziario completo di quello che è accaduto in quella stagione stragista. Ma ci batteremo fino alla morte per la ricostruzione storica che non risente del tempo e delle regole processuali“.
“Un uomo come Borsellino è un Cristo che va incontro al suo destino che la Nazione avrebbe dovuto garantire con tutte le forze e invece è stato assassinato. E noi stiamo ancora pagando il pezzo delle stragi e poi ha anche subito il vilipendio assoluto del depistaggio da parte della polizia, del gruppo di La Barbera che non si merita di essere chiamato gruppo Falcone Borsellino“. Conclude l’avvocato.
Il penalista ha fatto anche cenno a un’altra vicenda giudiziaria che si è conclusa a luglio, quella sul depistaggio della strage di via D’Amelio in cui tre poliziotti del gruppo Falcone Borsellino, che indagava sulle stragi, erano accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. Il processo, di primo grado, si è concluso con la prescrizione per Mario Bo e Fabrizio Mattei e l’assoluzione Michele Ribaudo.