Un sibilo di vento e l’Orchestra sinfonica siciliana è costretta a deporre per terra gli strumenti. “Troppo freddo, troppi spifferi non si può lavorare in queste condizioni”, ripetono i musicisti nei corridoi del teatro Politeama Garibaldi di Palermo. Il vento gelido di questi giorni attraversa le finestre rotte in prossimità del tetto e si incanala come in un imbuto, fino ad arrivare sul palco. Lì i musicisti stanno seduti per ore a provare. Tetti e pareti scrostate, fili elettrici in bella vista, cornicioni lineati. In queste condizioni si presenta oggi il gioiello realizzato dall’architetto Damiani Almeyda. “Se continua così, uno dei simboli di Palermo, è destinato a fare la stessa fine del teatro Massimo: chiudere per non so quanti anni. Servono interventi strutturali urgenti e immediati, ma mancano i soldi”. Questo è l’allarme lanciato dal sovrintendente della Foss, il modicano Giorgio Pace, alla guida dell’ente culturale da poco meno di un anno.
“Purtroppo il teatro non è rientrato fra gli importanti finanziamenti europei– prosegue- ed oggi, nonostante vi siano diversi progetti in cantiere, si aspetta ancora un finanziamento. Attualmente, gli unici due progetti esecutivi che possono essere cantierabili nel breve termine, riguardano due piani di intervento di circa tre milioni di euro, che andrebbero a completare il vecchio finanziamento del comune, inerente il recupero della parte posteriore esterna del monumento. In effetti, sono stati ripresi solo gli affreschi, mentre i cornicioni, quindi la parte strutturale dell’immobile non è mai stata oggetto di interventi profondi. La sicurezza strutturale dell’immobile è comunque assicurata– tiene a precisare Pace- ogni due mesi un tecnico pagato dalla fondazione, effettua dei sopralluoghi per verificarne le condizioni”.
La copertura, realizzata in metallo dalla Fonderia Oretea della famiglia Florio e considerata all’epoca opera di grande ingegneria, mal preserva la memoria della manifattura storica della città. Il tetto è in uno stato pietoso a causa delle infiltrazioni d’acqua. Nel teatro non si eseguono lavori dagli anni ‘80. Solo nel 2000, in occasione del G8 ospitato in città, vennero realizzati i restauri delle decorazioni pompeiane policrome dei loggiati. Alcune stanze della struttura come la bellissima Sala nera, caratterizzata da affreschi di cui rimane solo un lontanissimo ricordo, e la Sala delle vestali non hanno più visto un pennello da quando andò in scena “I Capuleti e i Montecchi” di Vincenzo Bellini, che nel 1874 inaugurò il teatro. E non è solo questione di pennello. Le crepe sui muri, gli infissi fatiscenti, i pannelli di plexiglass e di compensato usati come imposte negli uffici degli impiegati, ricordano più uno scenario da “Il fantasma dell’Opera” di Gaston Leroux, che la costruzione pensata dal suo progettista in funzione sociale, come “teatro del popolo”. “Io posso occuparmi della manutenzione ordinaria, se c’è una fontanella da sostituire io la cambio ed ho messo a norma l’impianto elettrico. Qui, però, servono lavori più importanti”. The show must go on…