La svolta tanto attesa è arrivata. Da oggi si riaprono ufficialmente gli scenari di numerosi appalti in Sicilia. Il dissequestro del colosso catanese Tecnis (e delle controllate Cogip Holding e Artemis spa) lancia un messaggio inequivocabile: le grandi opere appaltate e in corso nell’Isola dovranno essere terminate. E stavolta niente “alibi”, basta provvedimenti giudiziari, stop a ogni forma di presunto condizionamento esterno degli appalti.
I giudici infatti hanno creduto alla tesi dei pm Antonino Fanara e Agata Santonocito, ovvero che l’amministrazione giudiziaria delle società “ha legalizzato i beni”, perché ad essere pericolosi non sarebbero stati gli imprenditori, ma “le aziende, particolarmente appetibili alla mafia”. Per i magistrati catanesi “è venuta meno la pericolosità del bene” che ora è stato “legalizzato” grazie al lavoro dell’amministrazione giudiziaria e della Procura.
Il provvedimento di oggi, per la verità, era nell’aria già da qualche settimana. Nei numerosi cantieri del colosso catanese le maestranze erano con le bocche cucite, ma a parlare per la prima volta erano i cosiddetti “Sal“, gli stati d’avanzamento dei lavori. Uno su tutti: il cantiere per la “Chiusura dell’Anello Ferroviario di Palermo – 1° stralcio Giachery-Politeama”, del valore di 154 milioni di euro.
Nelle ultime settimane, soprattutto in via Emerico Amari, si è registrato un forte incremento delle attività: se prima la media era di due o tre operai a lavoro, adesso se ne contano una ventina. La rendicontazione mensile dei sal è di fatto quadruplicata. Segnali incoraggianti che lasciavano presagire l’imminente dissequestro della società e quindi la fine del mandato del commissario Saverio Ruperto.
Adesso però la sfida più dura per la Tecnis: i giudici hanno disposto che per i prossimi tre anni tutte le operazioni eseguite superiori a un valore di 250mila euro siano segnalate alla Questura e alla polizia tributaria della guardia di finanza. In questo modo si vuole controllare ogni forma di condizionamento esterno o possibile infiltrazione mafiosa negli appalti. Dovrà iniziare così il ritorno sul mercato e il rilancio del colosso catanese.
In questo caos di battaglie giudiziarie negli appalti in Sicilia c’è però un meccanismo singolare che fa riflettere: essere un colosso delle costruzioni in una terra come la Sicilia – secondo i giudici – rende la tua azienda “appetibile alla mafia”. Ciò equivalerebbe quindi a dire che qualunque colosso delle costruzioni (siciliano, italiano, o internazionale) che vuole partecipare a una gara d’appalto grossa o che vuole realizzare una “grande opera” in terra sicula, corre il medesimo rischio della Tecnis.
E allo stesso modo, il sillogismo che ne deriverebbe è il seguente: siccome l’impresa “X” è un colosso delle costruzioni, e dunque “X” è appetibile alla mafia, allora “X” non è mafiosa ma subisce solo l’interesse mafioso. E per le imprese realmente infiltrate con la mafia che si fa? Quel sillogismo decade? Non è dato saperlo.
“Quel che è certo – sottolineano i giudici – è che la gestione del colosso aziendale con l’intervento dello Stato ha consentito senz’altro di eliminare quelle impurità e i contatti con la criminalità organizzata che sussistevano di sicuro fino all’operazione Iblis. Ciò benché – rileva il Tribunale – non possa essere obliterato che il processo di bonifica e di distacco nei rapporti con la criminalità era già iniziato prima del commissariamento prefettizio che la Tecnis aveva assunto con l’adozione dei modelli propri”.
Inoltre, osservano i giudici, i controlli effettuati durante la gestione “non hanno evidenziato alcun tipo di contatto con società sospette o legate con associazioni di tipo mafioso” e “non sono emerse particolari criticità a seguito degli accertamenti disposti dal Tribunale che la Procura ha delegato ai carabinieri del Ros. Appare evidente pertanto – conclude il Tribunale – che il commissariamento prefettizio prima e soprattutto il maggiormente invasivo intervento dell’autorità giudiziaria abbia completato un percorso già intrapreso di ritorno alla legalità o quantomeno di allontanamento dell’azienda dagli ambienti della criminalità organizzata. Per tali ragioni – hanno deciso i giudici – va disposta la revoca della misura e il dissequestro delle quote sociali”.
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