L’11 settembre del 1973 in Cile un colpo di stato organizzato dalla destra politica e militare, con la copertura degli Usa e l’acquiescenza della DC cilena aveva rovesciato il governo legittimo di Unidad Popular guidato dal socialista Salvador Allende.
Quel governo aveva suscitato tante speranze e aspettative non solo da parte della maggioranza dei cileni ma dell’intera America latina poiché dimostrava che era possibile costruire in quel martoriato continente una società con più giustizia ed eguaglianza sociale senza conculcare i diritti e le libertà politiche e civili come era avvenuto nella Cuba di Fidel Castro. E anche nell’occidente capitalistico, soprattutto per i comunisti italiani perché era la conferma che era possibile conquistare il governo attraverso la via parlamentare, democratica, come aveva indicato Palmiro Togliatti, senza ripercorrere strade e modelli che si erano affermati nell’Est europeo, rispettoso quindi dei principi di libertà e di pluralismo politico.
I provvedimenti adottati da Allende, in coerenza con il suo programma politico, tendevano a sottrarre il paese dallo sfruttamento delle sue risorse da parte delle compagnie straniere, a cominciare da quelle statunitensi.
La nazionalizzazione dell’industria del rame, in particolare, provocò la feroce ostilità delle compagnie che sfruttarono il malcontento di alcune categorie. Clamorosa fu la protesta di migliaia di camionisti che con il loro sciopero generale paralizzano il paese e a cui gli operai risposero con l’occupazione delle fabbriche creando un clima di instabilità sociale ed economica in cui si inserirono le forze della destra economica, politica e militare. Grave fu la responsabilità della DC cilena che scelse di abbandonare il terreno democratico della lotta politica, schierandosi con il golpemilitare, guidato dal generale Pinochet, pensando che in tal modo sarebbe stata risparmiata, un errore di valutazione perché immediatamente dopo la DC fu sciolta e colpita da una dura repressione. Pinochet diede vita così ad una feroce dittatura eliminando tutti gli avversari politici con migliaia e migliaia di persone scomparse nel nulla i cosiddetti desaparecidos ad opera dei famigerati squadroni della morte.
L’immagine di Salvador Allende, asserragliato nel palazzo presidenziale con il mitra in mano e l’elmetto in testa, prima di togliersi la vita, in una strenua e disperata resistenza al golpe militare impressionò l’opinione pubblica di tutto il mondo. La drammatica vicenda cilena provocò una riflessione anche tra le forze politiche italiane in particolare in Enrico Berlinguer spingendolo ad elaborare la strategia del
compromesso storico e trovando una sponda e una interlocuzione positiva in Aldo Moro.
D’altronde il leader democristiano nei momenti più difficile e drammatici della storia italiana segnata dalla cosiddetta strategia della tensione, con stragi e attentati, dai tintinnii di sciabole che mettevano in discussione la tenuta e il sistema democratico del nostro paese, si era sempre schierato apertamente a difesa della costituzione e della democrazia. Già nel luglio sessanta aveva condannato duramente il governo
guidato dal democristiano Ferdinando Tambroni sostenuto dal Movimento sociale, il partito erede del fascismo, che con le sue mire autoritarie aveva suscitato una violenta reazione popolare il famoso “luglio 60”.
Moro in quella occasione, come in altre ancora nel futuro, ribadirà con forza le radici popolari e antifasciste della Democrazia Cristiana. Fu promotore della nascita del Centro sinistra considerando la presenza socialista al governo, una garanzia per il pieno sviluppo della democrazia senza il pericolo che la divisione sinistra che si creava potesse dare spazio ad un anticomunismo conservatore.
Sull’onda dei fatti cileni nasce così il compromesso storico che al di là delle interpretazioni di comodo e delle deformazioni interessate, prevedeva momenti di collaborazione e soprattutto consisteva in un accordo tra i due grandi partiti che in un possibile avvicendamento al governo la DC si impegnava a rispettare il responso elettorale e avrebbe garantito che non vi sarebbe stata alcune ingerenze da parte
degli Stati Uniti come era avvenuto in Cile.
Il Pci garantiva dal canto suo che la sua presenza al governo comportava il rispettodel pluralismo, il netto rifiuto del modello sovietico e l’appartenenza al campo occidentale, insomma l’osservanza della carta costituzionale che peraltro i comunisti aveva contribuito a scrivere.
Questa nuova fase della politica italiana fu drammaticamente interrotta dal drammatico e sequestro e dal barbaro assassinio di Aldo Moro ad opera delleBrigate Rosse e con la sua morte ha inizio la crisi del sistema politico italiano che non si è ancora conclusa.
Elio Sanfilippo