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Urge ricostruire una nuova antimafia per il benessere dei siciliani e delle nuove generazioni

sabato 18 Novembre 2017
colletti bianchi

Con la morte di Salvatore Riina si chiude, anche simbolicamente, una lunga fase della storia della mafia. Anche se ha certamente ragione, la presidente della commissione antimafia Rosy Bindi, come riportato ieri dal “Il Sicilia.it”, che Cosa Nostra, quella di Riina, era stata già sconfitta prima della sua morte dalla reazione e dall’azione dello Stato,  la sua morte non poteva tuttavia non avere un forte impatto sulla coscienza dell’opinione pubblica, risvegliando nella memoria il momento più drammatico e pericoloso della storia d’Italia.

Cambiando una strategia consolidata di coesistenza e di penetrazione nelle strutture pubbliche, di “coabitazione” (per usare una espressione di Luciano Volante), Cosa Nostra con Riina decise di procedere all’assalto dello Stato, di sovvertirne le fondamenta democratiche, prefiggendosi, pertanto, un disegno eversivo che puntava all’assoggettamento delle istituzioni al potere criminale della mafia.

Sulle motivazioni che portarono a questo cambio di strategia, su cosa si fondasse la convinzione che questa strategia potesse essere vincente, ancora non tutto è chiaro e  alcune verità giudiziarie accertate rimangono ancora vaste zone di ombra e verità non emerse.

L’unica cosa certa è che in questo disegno eversivo la Sicilia aveva la funzione di detonatore.

Questa è la terra, infatti, in cui sono stati decapitati tutti i vertici espressione della Stato e delle sue istituzioni: il prefetto, il capo della procura, il capo dell’ufficio istruzione, il capo del governo, il capo dell’opposizione, fino alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio che rappresentano il punto più alto di questa strategia terroristica ed eversiva.

Una guerra che Riina condusse su due fronti, quello interno, eliminando tutto i capimafia a lui ostili e in grado di contrastarne l’ascesa, e quello esterno colpendo chiunque, a qualsiasi livello, si opponesse o minacciasse il suo disegno,fosse esso un poliziotto, un carabiniere, un magistrato, un politico, un funzionario, un medico, un imprenditore…

Da allora molti successi sono stati conseguiti e con l’arresto di Riina e Provenzano un colpo decisivo è stato assestato all’organizzazione mafiosa, grazie al lavoro instancabile della magistratura e delle forze dell’ordine che hanno influito anche nell’atteggiamento dell’opinione pubblica, per cui ogni cittadino, ogni imprenditore si è sentito più libero e soprattutto più convinto che questa battaglia contro la mafia si poteva e si doveva vincere.

Soprattutto sul terreno economico, l’area privilegiata della mafia per acquisire illeciti arricchimenti, sono stati fatti passi avanti notevoli, intervenendo su un mercato totalmente e pesantemente condizionato e inquinato e affermando forme sempre più estese di libertà d’impresa e di libera competizione.

Si è sviluppato un forte movimento contro il racket delle estorsioni e sono sempre più numerosi imprenditori e commercianti che denunciano gli estorsori, che reagiscono e non intendono più subire.

Al tempo stesso il sequestro e la confisca dei beni mafiosi si sono rivelati formidabili armi vincenti.

Certo sappiamo bene che la mafia non è ancora definitivamente sconfitta, che essa ancora è presente nel territorio, afferma un suo potere di intimidazione e comprime le possibilità di sviluppo.

La scomparsa Riina, preceduta da quella di Provenzano, deve però spingere a una riflessione più attenta su come si sta riorganizzando la mafia, su quello che succede nell’universo mafioso, sfuggendo a luoghi comuni, di legare tutto al personaggio di maggior caratura mafiosa; ieri Riina oggi Messina Denaro che, ovviamente prima si assicura alle patrie galere meglio è.

Quello che è ancora più importante è capire cosa sta succedendo sul terreno dell’economia, alla luce anche della crisi del sistema imprenditoriale siciliano, quale consistenza abbia l’ipotesi di un declino di Cosa Nostra a vantaggio della mafia calabrese, ormai padrona del traffico della droga, come pesa l’assenza di un capo che sappia unificare tutte le articolazioni dell’organizzazione mafiosa.

Da questo punto di vista sembra che, alla fine, sia prevalsa la strategia privilegiata da Provenzano, dopo l’arresto di Riina, dell’inabissamento, del mimetizzarsi, del ricorso al delitto eclatante solo per motivi eccezionali, operando una divisione di compiti tra un ceto mafioso più legato al territorio e quindi alle estorsioni, allo spaccio di droga e alle varie attività illecite, l’usura, il gioco d’azzardo, e quant’altro e affidandosi, invece, sempre più ai “colletti bianchi”, professionisti, imprenditori e politici non chiacchierati e incensurati, in quanto capaci di intervenire sui grandi affari economici, dall’energia all’acqua, dalla sanità ai rifiuti, fino alle strutture commerciali con un’attenzione particolare a espandersi sui mercati del nord e dell’Europa, in particolare sul settore della finanza e delle assicurazioni.

Ecco perché oggi si pone con più forza l’urgenza e l’esigenza di ricostruire una nuova antimafia che archivi definitivamente quella parolaia e salottiera riservata a presunti depositari della verità e dietro cui, spesso, si sono celati interessi opachi che hanno appannato la credibilità della stessa lotta alla mafia.

Una nuova antimafia che si fondi su solide basi sociali, che aiuti le forze dinamiche della società siciliana, in particolare quell’imprenditoria sana che deve rappresentare l’asse portante insieme al mondo del lavoro su cui costruire una prospettiva di benessere per i siciliani e le nuove generazioni.

Se, come tutti auspicano, vi sarà un’attenzione diversa dal passato e il nuovo Governo e le forze politiche di maggioranza e di opposizione riprenderanno la bandiera dello sviluppo agganciando la Sicilia alla ripresa economica che si sta avviando nel Paese, è indispensabile che si ricrei un movimento antimafia che sostenga, protegga e incoraggi queste nuove realtà imprenditoriali su cui molti giovani nei diversi campi si stanno cimentando.

Se finalmente partiranno gli investimenti previsti, in particolare nelle infrastrutture, se si sbloccheranno i fondi europei, in Sicilia potranno tornare la speranza e la fiducia.

Potrà però anche essere l’occasione per le organizzazioni mafiose di drenare queste risorse che, invece di essere destinate allo sviluppo, potranno alimentare quell’economia illegale con conseguenze devastanti per i lavoratori, le imprese, le istituzioni e il tessuto civile e democratico.

Ecco perché necessita un nuovo protagonismo delle forze imprenditoriali e sindacali che spingano le istituzioni e la politica ad affrontare i nodi strutturali che strozzano il dispiegarsi delle potenzialità di sviluppo.

Anche la politica deve cambiare, abbandonando un atteggiamento di distacco da questi temi, delegando alla magistratura il compito di intervenire sul malaffare, tranne poi lamentarsi di una sua eccessiva ingerenza.

È tempo quindi che la politica ripensi il suo ruolo, recuperi una funzione positiva, bandendo ogni forma di compiacenza o di lassismo verso forme deteriori dell’attività politica.

Le stesse pratiche clientelari, che vi sono sempre state, assumono oggettivamente in questo contesto un significato e un’incidenza diversa di quelle di una volta e rischiano, come in particolare le forme di corruzione, di essere esposte, a volte inevitabilmente e perfino al di là delle volontà individuali, alla contiguità, con i poteri criminali e mafiosi, come ha correttamente evidenziato la recente legge antimafia.

Garantire dunque un mercato libero e la libertà d’impresa anche perché, nell’ultimo periodo, l’azione mafiosa a questi livelli non si realizza più con le tradizionali forme di minacce e intimidazioni violente e visibili.

La mafia ha infatti capito che queste non sono più “ producenti”, dal momento che, rispetto al passato, si registrano reazioni che producano attenzione e interventi incisivi da parte delle forze dell’ordine, pregiudicando l’intera rete di affari e di attività illecite.

Questa mafia, paradossalmente, ha bisogno di meno killer e più professionisti che realizzino attività imprenditoriali apparentemente sane e forme più sofisticate di riciclaggio. Che siano in grado di acquisire o agganciare quelle imprese veramente pulite, che siano in grado di intercettare finanziamenti pubblici, partecipare ai bandi, relazionarsi con gli istituti di credito, incrementare l’uso di prestanome insospettabili.

Su questo deve misurassi la nuova antimafia, aprendo un serio confronto, recuperando il gusto dell’impegno civile, perché questo è il terreno decisivo su cui si vince la battaglia storica per sradicare dal tessuto economico e sociale ogni forma di presenza mafiosa.

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