Quanto la Sicilia è nei pensieri dei politici di Roma? Sono passati 56 mesi. Un’eternità, ma ad oggi del viadotto Himera lungo l’autostrada Palermo-Catania nessuna novità. Questo ponte è l’emblema delle differenze tra Nord e Sud del Paese. 56 mesi dalla frana che tagliò in due la Sicilia, ma in tutto questo tempo poco è stato fatto, nonostante si siano succeduti tre governi nazionali con i suoi ministri alle Infrastrutture.
Il 10 aprile 2015 il ponte fu danneggiato da un movimento franoso che ne rese necessaria la successiva demolizione, prevedendo un investimento di quasi 11 milioni di euro e una durata dell’intervento che i tecnici dell’Anas quantificarono in 570 giorni circa.
Nel frattempo, mesi fa, tutta Italia ha assistito all’avvio delle operazioni di sollevamento della prima parte di impalcato del nuovo viadotto Polcevera, meglio noto come Ponte Morandi, a poco più di un anno dal crollo che, il 14 agosto 2018, ha ucciso 43 persone a Genova. Un evento, al quale hanno presenziato Giuseppe Conte e il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Paola De Micheli, riproposto in tutte le salse dai giornali e dai Tg di ogni dove. Un intervento lampo, giusto in un’Italia che funziona, ma dalle nostre parti le cose vanno in modo molto diverso, con la velocità della lumaca. E infatti, quando una tragedia avviene in Sicilia, l’Italia si volta dall’altra parte. Ad esempio, è passato in sordina, quanto meno a livello nazionale, l’anniversario caduto lo scorso 3 ottobre, della morte dei 37 innocenti spazzati via dall’alluvione di Giampilieri e Scaletta Zanclea, nel Messinese.
Tornando al viadotto Himera, i politici non avevano mancato di rassicurare tutti: “Il cantiere procede a grande ritmo. Avevamo detto che sarebbero stati tra i 90 e i 100 giorni di lavorazione. Siamo più o meno a metà di questo periodo. Andiamo molto bene. Credo che procederemo speditamente anche nei prossimi giorni, contiamo di rispettare i tempi che ci eravamo prefissati“, diceva l’ex ministro del governo Renzi, Graziano Delrio a margine del sopralluogo avvenuto dopo qualche mese dal crollo.
A queste si vanno ad aggiungere le dichiarazioni dell’ex Amministratore delegato di Anas Gianni Vittorio Armani. “La tutela della rete stradale che abbiamo in concessione – aveva affermato Armani – è un obiettivo fondamentale per l’Azienda e su questo non consentirò che si deroghi più. Paghiamo anni di gap di manutenzione delle strade e del territorio per la scarsità dei fondi. Ho già dato disposizioni alla struttura aziendale – aveva aggiunto – di incrementare il monitoraggio sullo stato di conservazione delle oltre 12 mila opere d’arte della nostra rete e, con il sostegno del Governo e del ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, vareremo un grande piano di manutenzione straordinaria per intervenire rapidamente, partendo dalle situazioni più urgenti, come la A19. In questo ambito, sarà fondamentale anche la collaborazione con gli enti preposti alla tutela del territorio, come la Protezione Civile“.
Armani nel 2018 si è dimesso. La decisione dell’amministratore delegato di rassegnare le proprie dimissioni è suonata per molti come una sorpresa a metà. In effetti, se per un verso non era prevedibile che una scelta di questo tipo arrivasse in tempi così rapidi, per un altro l’incompatibilità tra Armani e il governo Salvini era diventata evidente. E questo alla luce in particolare delle diverse posizioni espresse in merito alla fusione di Anas con Ferrovie dello Stato, diventata esecutiva il 18 gennaio 2018.
Poi, è stato il tempo degli scandali per le mazzette dell’Anas in Sicilia, ma intanto, le passerelle nel viadotto non erano finite. Anzi si sono susseguite nel tempo. Come quella dell’ex ministro Toninelli: “non è accettabile che esistano strade colabrodo, i siciliani meritano di vivere in modo dignitoso – aveva detto l’allora ministro Toninelli –. La mia presenza qui è per fare un sopralluogo in tutti i cantieri Anas e Rfi. Siamo qui per accelerare i cantieri, non è possibile che ci siano tempi così lunghi. Lo Stato è tornato, c’e una maggiore presenza e la Sicilia è una delle massime priorità di questo governo“, raccontava.
Ma il vento politico a Roma è già cambiato, come è cambiato il ministro alle infrastrutture nell’attuale governo giallo-rosso. Ad oggi, il viceministro alle Infrastrutture è l’ex capogruppo all’Ars del movimento 5 stelle, Giancarlo Cancelleri.
Uno dei più battaglieri in questi anni nel denunciare l’immobilismo di Roma nei confronti del ponte Himera. Anche se in questo ultimo periodo, da quando è al governo pare abbia smorzato un po’ i toni. “Non è possibile fare un confronto Tra l’iter di ricostruzione del ponte Morandi di Genova, crollato nell’agosto 2018, e quello del viadotto Himera sull’autostrada Palermo-Catania, che ha subito un cedimento nel 2015, perchè sono due iter normativi diversi“, ha affermato nell’ottobre scorso il viceministro in visita a Palermo, a margine della presentazione del progetto Milleperiferie: “Per quanto riguarda la ricostruzione del viadotto sulla A19 abbiamo sbloccato tutto. I soldi ci sono e li abbiamo dati all’azienda che sta temporeggiando nel montaggio del ponte: per me è inaccettabile, ho già concordato questa settimana di incontrare Anas e il contraente generale per fare con loro un discorso chiaro. Non possiamo finire in concomitanza col montaggio del ponte Morandi, dobbiamo finire prima per dare il messaggio che anche in Sicilia le cose si fanno e si fanno bene“. Intanto, il viadotto incompiuto è ancora là.
56 mesi. 1680 giorni circa, sono gli unici dati certi di questa storia che sembra infinita. Nel frattempo, tra i politici siciliani si è tornato a parlare di grandi opere nell’Isola. Come il ponte sullo Stretto, immancabile promessa di ogni campagna elettorale.