“Una tragedia immane il crollo del ponte a Genova, una tragedia che colpisce il paese intero, piangiamo chi ne è rimasto vittima e siamo vicini ai loro familiari; ma anche ci disperiamo perché sappiamo bene che quanto accaduto poteva e doveva essere evitato. Il cemento armato, anche se precompresso, non è eterno, possiede un ciclo di vita stimabile in 50/60 anni. Quello della maggior parte delle nostre infrastrutture si è esaurito, dobbiamo farcene una ragione ed agire di conseguenza”. Così Pino Falzea, presidente dell’Ordine Architetti P.P.C. della Provincia di Messina.
“Questo problema enorme – aggiunge – non riguarda solo le infrastrutture: palazzi scuole chiese centri sociali, realizzati con tale tipologia di struttura, non derogano alla durata anzidetta. Se poi questi fabbricati sono stati sopraelevati in assenza di interventi di consolidamento delle strutture sottostanti e delle fondazioni, oppure sventrati nelle murature collaboranti per ampliare le aperture o realizzare impianti invasivi, i rischi si moltiplicano. Saremmo dovuti intervenire prima ma, seppur con grande ritardo, dobbiamo intervenire adesso! E sarebbe l’ora che in questo paese si cominciassero ad ascoltare i tecnici, coloro che hanno competenza specifica in materia. Innanzi tutto il tema della sicurezza delle città, totalmente assente dai programmi politici dei vari partiti che si sono confrontati nelle ultime elezioni nazionali, deve essere riportato al centro del dibattito politico”.
“Occorre un grande piano di manutenzione delle città – spiega – piccolissime piccole e grandi, che preveda importanti incentivi per gli interventi di rigenerazione e riqualificazione, anche attraverso la sostituzione edilizia. In ogni città, prima ancora della carta dei vincoli e delle emergenze storico architettoniche, si deve predisporre una carta dettagliata degli edifici e delle infrastrutture a rischio che occorre demolire, perché non più sicuri o perché a ridosso di versanti instabili o troppo vicini ai corsi d’acqua. Vigilando attentamente contro le possibili speculazioni, dobbiamo avere il coraggio di mettere in atto un grande programma della città da demolire e ricostruire, che deve costituire l’ossatura portante di nuovi strumenti urbanistici sufficientemente dinamici, incentrati sulla rigenerazione urbana, riqualificazione architettonica e rammendo delle periferie”.
“Negli anni 70 sono stati commessi assurdi abusi contro fabbricati straordinari – conclude Falzea – che punteggiavano di bellezza le nostre città, teatri palazzetti e ville di grande pregio architettonico vennero demoliti senza pudore alcuno. I grandi crimini culturali di allora però non devono condizionare l’oggi, abbiamo il dovere di sostituire o rigenerare ciò che ha concluso il suo ciclo vitale: sostituire gli edifici senza pregio – e le città ne sono piene – rigenerare ciò che merita di continuare a esistere. Per farlo non bastano limitati incentivi di defiscalizzazione, perchè non si possono mettere in sicurezza solo i fabbricati dei cittadini ricchi o benestanti: occorre che il grande piano industriale della rigenerazione urbana sia sostenuto da importanti finanziamenti statali, ai quali potranno affiancarsi gli investimenti degli imprenditori privati, che permetta a tutti di vivere in città sicure e belle, dal centro alle periferie”.