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Manette per Ciancimino. L’epopea del tritolo, dal papello al giardino di casa

mercoledì 25 Gennaio 2017

Sfrecciava su auto di grossa cilindrata come una fiammante Ferrari, andava in mare a bordo di lussuosi yatch ed era introdotto nel grande giro mondano. Il nome di Massimo Ciancimino compariva spesso nel ”vippaio” delle riviste che celebrano e raccontano con foto e indiscrezioni le feste e gli incontri della bella società palermitana. Ma quei tempi sono molto lontani e la vita di Ciancimino jr è affollata da personaggi molto diversi da quelli della sua giovinezza: pm, avvocati, mister x, pupazzi, signor Franco, signor Lo Verde, politici e morti ammazzati. Un vita spericolata che, al momento, fa una sosta in carcere.

stor_16384735_34340Il grande pubblico ha iniziato a conoscerlo attraverso le pagine di “Don Vito”, il libro scritto con il giornalista Francesco La Licata, gli incontri disseminati per l’intero stivale e il discusso abbraccio con Salvatore Borsellino in via D’Amelio. E di lui l’allora sostituto procuratore della Procura di Palermo, Antonio Ingroia ne parlava come “una quasi icona dell’antimafia”. Con l’arresto non tutto va esaurito ma adesso dovrà scontare 4 anni e 5 mesi di carcere: Dopo la condanna definitiva per la detenzione di esplosivo, è saltato infatti l’indulto per la precedente condanna per i riciclaggio a due anni e otto mesi. Per il super testimone di tanti processi i tempi della ribalta terminano qui. E pensare che per un certo periodo era finito sotto scorta a causa di alcune minacce presentate a lui e al figlio . I suoi guai giudiziari cominciano 15 anni fa. Quando il padre morì, il 19 novembre 2002. Il padre Vito Ciancimino era stato condannato a otto anni come il gran burattinaio degli appalti di Palermo. Quando fu arrestato per la prima volta, nel novembre 1984, il giudice Giovanni Falcone, al quale Tommaso Buscetta aveva spiegato che don Vito era ”nelle mani dei corleonesi’‘, tentò di mettere le mani sul ”tesoro” dell’ex sindaco. Ma nel caveau della banca che Ciancimino utilizzava per gestire le ”spese correnti” trovò ”solo” sei miliardi di lire dell’epoca. Il resto, secondo i magistrati, sarebbe stato occultato nei conti di qualche prestanome oppure nelle banche dei vari ”paradisi fiscali”. A occultarlo e a riciclarlo ci avrebbe pensato il figlio prediletto: Massimo.

Tutto cominciò dopo la scoperta nelle tasche dell’ex boss Nino Giuffrè, poi diventato collaboratore di giustizia, di un ”pizzino’‘ nel quale era annotato con il nome di Massimo Ciancimino anche quelli del commercialista Giovanni Lapis e di un certo ”ingegnere Italiano”. Da quella traccia è stato possibile ricostruire un giro di oltre 250 milioni di euro da investire in varie imprese di metanizzazione che operavano in Russia, Bulgaria, Romania, Colombia e Paraguay. Il cuore di questa rete d’affari sarebbe stata la società ”Gas” gestita da Lapis. Da dove provenivano quei soldi? I magistrati hanno ipotizzato che fossero il frutto di un colossale riciclaggio di denaro sporco e lungo l’impervio itinerario dell’inchiesta si sono a un certo punto imbattuti sull’insospettabile figura di don Giuseppe Bucaro, il prete che dirigeva il centro intestato al giudice Paolo Borsellino. Pare che proprio Massimo Ciancimino avesse promesso a don Bucaro un ”contributo” di 10 milioni di euro. La posizione di Bucaro, che si dimise dopo la diffusione della notizia dell’inchiesta, fu archiviata.

messina-denaro-2Tra una festa e l’altra, di Massimo Ciancimino si è ripreso a parlare dopo l’arresto di Bernardo Provenzano nel 2006. In un ”pizzino” firmato da un certo ”Alessio”, a quanto pare nome di copertura del boss Matteo Messina Denaro, viene tra le righe accusato di avere intascato una somma proveniente dalla ”messa a posto” di una impresa di Alcamo costretta a pagare il pizzo. Massimo Ciancimino reagì alla diffusione della notizia protestando per non essere stato informato di trovarsi in ”gravi situazioni di pericolo’‘ e per il fatto che veniva indagato proprio lui mentre si allungava la ”lista di persone che attentano alla mia incolumità’’.

L’esposizione del figlio di Ciancimino era già passata attraverso una clamorosa ”trattativa” avviata con il generale Mario Mori, all’epoca capo del Ros dei carabinieri, e il capitano Giuseppe De Donno suo braccio destro. Mori e De Donno avevano cercato Massimo Ciancimino per incontrare il padre. Il loro obiettivo, ha spiegato lo stesso Mori, era quello di convincere don Vito a dare indicazioni utili per la caccia ai grandi latitanti. Accadeva nel giugno 1992, dopo la strage di Capaci. Mori poi incontrò l’ex sindaco che avrebbe accettato di fare da intermediario con i padrini. La fama non bastò a Ciancimino per evitare la condanna per riciclaggio. Nel 2007  fu condannato a 5 anni e otto mesi. Tra il primo e il secondo grado finirono sotto inchiesta quattro parlamentari siciliani: i senatori dell’Udc Salvatore Cuffaro, ex presidente della Regione, e Totò Cintola, il segretario regionale del Movimento, Saverio Romano, e il senatore del Pdl Carlo Vizzini. A tutti i pm della Dda notificarono un avviso di garanzia per corruzione aggravata dall’avere favorito l’associazione mafiosa. Proprio Ciancimino jr aveva portato i pm a indagare, ma l’inchiesta finì con un nulla di fatto.

8a1f183abf0aded614ce03057a432b90_mediumE intanto spuntavano anche uomini dei Servizi dietro le sanguinose stragi del ’92 e i più oscuri delitti di mafia, apparati dello Stato protagonisti della cosiddetta trattativa tra le cosche e le istituzioni. E uno 007 dal volto deforme, abituale frequentatore della casa di don Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo condannato per mafia, che avrebbe custodito il papello (in foto): l’elenco con le richieste di Totò Riina a settori dello Stato dopo l’eccidio di Capaci. Alla scrittura della trama di un giallo, che vede boss e 007 protagonisti della medesima strategia della tensione, culminata negli eccidi del ’92 e negli attentati a Firenze Roma e Milano del ’93, ha contribuito anche Massimo Ciancimino che a fine 2009 riesce a ottenere una riduzione di pena, nel processo d’appello per riciclaggio: 3 anni e 4 mesi, contro i 5 anni e 8 mesi inflittigli dal gup. Pochi giorni dopo il nome di Massimo Ciancimino figura anche tra gli indagati, una ventina, di una inchiesta delle Procura di Ferrara che ipotizza truffa ai danni dello Stato, associazione a delinquere, falsità in scrittura privata, distruzione di documenti contabili, mendacio bancario. Il processo è da poco iniziato. I guai per Ciancimino jr non finiscono qui: a fine 2010 il super teste della trattativa tra Stato e mafia viene iscritto nel registro degli indagati della procura di Caltanissetta con l’ipotesi di calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Ciancimino, secondo i pm nisseni che hanno riaperto le indagini sulle stragi del ’92, avrebbe accusato falsamente De Gennaro di essere il ‘signor Franco’ o, comunque, di essere molto vicino allo 007, mai individuato, che sarebbe stato al centro di tanti misteri italiani tra i quali la trattativa tra mafia e Stato. Anche questo processo è in corso.

squared_medium_squared_original_degennaro_sPer aver calunniato De Gennaro (in foto), ad aprile 2011, Ciancimino venne arrestato a Parma su ordine della procura palermitana per calunnia pluriaggravata. Il teste consegnò ai magistrati palermitani un documento del padre, che risalirebbe ai primi anni ’90, con 12 nomi di investigatori e politici, come l’ex ministro Franco Restivo, l’ex questore Arnaldo La Barbera, il funzionario del Sisde Bruno Contrada, il generale dell’Arma Delfino e il funzionario dell’Aisi Lorenzo Narracci. Nella lista c’era anche un tale Gross e, accanto, le iniziali ”F/C’‘, che, a dire del figlio dell’ex sindaco, avrebbero indicato i due nomi con cui lo 007 era noto: Franco e Carlo. Una freccia collegava poi Gross a un altro cognome: ”De Gennaro”. Un documento contraffatto che ha portato al fermo del testimone.

Proprio in quel caso, mentre veniva interrogato a Parma, Ciancimino parò dei candelotti nascosti nel giardino della sua casa in via Torrearsa a Palermo. Un’altra mossa sbagliata che lo ha portato alla condanna a tre anni diventata definitiva ieri. Adesso rischia un altro brutto colpo: nel processo sulla trattativa è infatti accusato di concorso in associazione mafiosa. Sarebbe stato lui a fare da tramite tra il padre e i mafiosi.

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