Arrivano nuovi documenti nel processo al presunto trafficante di esseri umani, imputato davanti alla quarta sezione del Tribunale di Palermo. Secondo l’avvocato Michele Caltropo, dimostrerebbero che quello arrestato non è Mered Medhanye Yedego, ma un profugo di 29 anni che risponde al nome di Medhanie Tesfamariam Berhe. Nella scorsa udienza ha deposto Nuredine Wahabrebi Atta, collaboratore di giustizia individuato dai magistrati della procura di Roma. Atta, arrestato nell’operazione Glauco 2, ha ribadito quanto già detto ai pm: la fotografia con i capelli lunghi e crocifisso (riportata nel profilo Facebook di Mered Medhanye Yedego) inquadra Habdega Asghedom, persona che il collaborante ha detto di avere incontrato a Catania a febbraio 2014. Inoltre, Atta ha detto di non conoscere l’imputato presente in aula, ma di averlo visto in una foto su Facebook che lo ritraeva mentre partecipava a un matrimonio nel 2013. Proprio le fotografie e il certificato di matrimonio di una parente di Medhanie Tesfamariam Berhe sono state depositate dalla difesa dell’imputato. Il matrimonio, infatti, fu contratto nel 2015 e non nel 2013. Questo dimostrerebbe – secondo la difesa – che l’imputato non si trovava in Sudan nel 2013 ma nel 2015, così come aveva lui stesso dichiarato. Agli atti del processo anche un dischetto con i dati forniti da Facebook. “Si evince – dice Calantropo –, da un controllo degli Ip utilizzati per connettersi al proprio profilo Facebook, che l’imputato si trovava in Eritrea nel 2014”.
Il pm Gery Ferrara ha depositato, inoltre, il pronunciamento del tribunale del Riesame di Roma secondo il quale non ci sarebbe alcun errore di persona nell’indagine della Procura di Palermo che ha chiesto e ottenuto l’estradizione dal Sudan di un eritreo accusato di essere tra i capi di una delle principali organizzazioni criminali che gestiscono la tratta dei migranti tra l’Africa e l’Italia. I legali dell’africano, noto agli investigatori come Mered Medhanie Yedhego, avevano chiesto l’annullamento della misura cautelare emessa dalla procura della Capitale che, come i colleghi palermitani, accusa l’eritreo di tratta di emigranti. A carico del detenuto, dunque, sussistono due provvedimenti di custodia cautelare per due indagini diverse, quella di Palermo e quella di Roma. Nel capoluogo siciliano Mered è già sotto processo, mentre a Roma il procedimento non è ancora approdato in aula.
Il legale dell’eritreo sostiene che quello estradato non sia il trafficante di uomini, ma un profugo che, dal Sudan, avrebbe dovuto raggiungere le coste siciliane. Una tesi a cui non credono i giudici romani che hanno confermato il carcere, per il pericolo di fuga e il rischio concreto di reiterazione del reato e hanno scritto: “tenuto conto che, in attesa di ulteriori approfondimenti investigativi, occorre valorizzare gli elementi che, anche sotto il profilo dell’esatta identità dell’arrestato, assurgono a gravi indizi e consentono di ritenere che il soggetto tratto in arresto in Sudan ed estradato in Italia sia l’indagato Mered”.