La locomotiva americana è ripartita.
Piaccia o non piaccia The Donald, il mercato del lavoro Usa ha marcato a giugno un più 220.000 occupati.
Ben oltre le più ottimistiche previsioni degli analisti economici che prevedevano un dato di crescita notevolmente inferiore.
Anche i salari medi hanno messo la freccia di sorpasso e segnano un più 2,5%. Non è molto ma è comunque un dato con il segno positivo.
Le borse incominciano a marciare, tifando per il governo del grande palazzinaro e perfino i tassi salgono. A giugno la Federal Reserve ha decretato un incremento dello 0,25 per cento del costo del denaro.
Sembra che la FED annuncerà a breve un nuovo incremento. E’, infatti, prevista per settembre una nuova riunione del board della più importante Banca centrale del mondo che dovrebbe ritoccare ulteriormente il costo dei tassi a breve.
Significa che il Paese è pronto ad assorbire la mini-stretta finanziaria e che pertanto gli USA incominciano a normalizzare il sistema creditizio nazionale dopo anni di tassi quasi a zero per dare fiato all’economia a stelle e strisce.
Janet Yellen – a capo della FED, la Super Mario Draghi Usa – si è detta fiduciosa circa la tenuta dell’economia americana rispetto all’aumento dei tassi.
Quindi, da un lato crescita industriale e dall’altro rientro dall’inflazione e rafforzamento finanziario del sistema Paese. Ciò che serve per una ripartenza di sistema forte e duratura in quanto strutturale.
Come ha titolato pochi giorni fa il New York Times, giornale tra i più critici nei confronti della Presidenza, abbiamo a che fare con il nuovo “ruggito” del mercato del lavoro americano.
Sono da sempre convinto che in un mercato sempre più globalizzato ed asfittico, ciò che abbia più pesato in questo decennio di crisi mondiale, sia stata l’assenza di un “Locomotiva” capace di trainare l’economia globale.
L’America in crisi dall’inizio del doppio mandato del Presidente nativo delle Hawaii, le tigri asiatiche fiacche e la Cina in grado di crescere fortemente per linee interne ma non in grado – strutturalmente di pompare in maniera decisiva il mercato mondiale.
Non credo molto, al di là delle dichiarazioni patriottiche e celoduriste, ad un forte protezionismo nel futuro prossimo americano, anche perché Gary Cohn – principale consigliere economico di Trump – è un convinto liberista ed il Presidente, comunque la si pensi, non è uno sciocco.
E’ vero, i dazi verranno usati come una clava dalla Presidenza Trump, ma niente di diverso da come si comporterà l’Unione Europea con la Cina.
Quindi l’auspicata ripartenza mondiale non può che ripartire da lì.
Google anche quest’anno ha scelto Agrigento, i suoi templi ed il Verdura Resort per la sua convention mondiale.
All’aeroporto di Birgi sono state prenotate piazzole di sosta per ben dodici mezzi della flotta aerea del gigante mondiale del web.
Tra questi anche il grande 767, l’ammiraglia dell’aviazione executive, che porterà il tamil Sundar Pichai amministratore delegato dell’azienda con il fondatore e maggiore azionista Larry Page.
E’ un grande successo per la Sicilia, per Agrigento, per l’aeroporto di Trapani e sopratutto per la capacità di accoglienza turistica che l’Isola sta sviluppando.
Dopo il successo del G7 di Taormina, i fari del fashion su Palermo con Dolce & Gabbana, ora l’evento Google con la presenza di tanti grandi del mondo. Prossimi ambasciatori della bellezza, della buona cucina e della ospitalità made in Sicily.
C’è tanto da cui ripartire, ma il progetto politico deve essere serio e conciso. Infrastrutture, tutela del territorio, turismo, beni culturali, food and wine ed agricoltura di pregio.
Questi i settori da sostenere e regolamentare.
La Sicilia ha la sua “Locomotiva” nelle sue più antiche bellezze e prerogative. Mancano, spesso e sovente, non metaforicamente, le rotaie.
Si parta da qui. Tutto il resto è noia.
Foto lasicilia.it