Carissimi,
Sono convinto che quanto da me oggi raccontato, è accaduto a tanti di voi.
Leggiamo i giornali e riceviamo un messaggio che suona di sentenza: “C’è crisi!”
Lo sapevamo, anzi per i seguaci di “Quelo”, potremmo anche aggiungere: “C’è grossa crisi!”
Lo vediamo nei dati relativi l’economia che stenta a ripartire, lo vediamo nei dati sull’occupazione, ma non essendo economisti riscontriamo tutto ciò durante le passeggiate giornaliere costatando il numero di saracinesche abbassate per sempre.
Personalmente questa settimana ho dovuto apprendere della chiusura del mio storico barbiere Salvatore che non ce l’ha fatta (ma su ciò torneremo in un prossimo appuntamento).
Certo se dobbiamo essere onesti, dopo aver superato gli stereotipi e i tormentoni del tipo “questa è una terra bellissima e potrebbe vivere soltanto di turismo”, ci rendiamo conto che ci sono degli esercizi commerciali controtendenza per i quali dobbiamo ammettere che “quando c’era lui”, il piccolo “lui” e non quell’altro e mi avete capito, già qualcosa era stata detta prima di fustigarlo a sangue per quanto affermato.
Si, al bando l’ipocrisia, c’è crisi ma a Palermo nei locali, dove si mangia e a maggior ragione in tutti i bar trasformati nel tempio delle specialità dello street food, la gente fa la fila con il numerino.
Come può essere? Forse perché il palermitano preferisce qualunque tipo di morte ma non quella per fame?
Questo resterà un mistero da risolvere ma ciò che nel nostro breve appuntamento voglio attenzionare è la figura dei soggetti che in certi esercizi di grande successo siede alla cassa, normalmente più il locale spala denari, più è frequente trovare il titolare alla cassa e diciamo di più, la moglie del titolare.
Sono finiti i tempi in cui ci chiedevamo: “Come fanno le cassiere a farsi sposare dai titolari?” Ci fu un famoso cantautore che parafrasando ne compose una canzone.
La proprietaria alla cassa, ne vogliamo parlare? La vediamo crescere ed evolversi insieme agli affari dell’esercizio commerciale, inizialmente una persona normale, vestita a modo non sempre curata nei dettagli, capelli lavati in casa e smalto vistoso sulle unghie delle dita mentre timidamente ti porge lo scontrino, non sapendo se dietro il compratore si nasconde un’agente della finanza e che udite, udite, risponde al saluto.
Che bella cosa il saluto: “Sono lontani quei momenti…” in cui un buongiorno riceveva un buongiorno per risposta.
Pensate che io sono fissato con le buone maniere, abito in un palazzo dove una “gentile signora”, di nobili lignaggi, da me ribattezzata “Sig.ra Lo Porco”, da 25 anni non ha mai risposto al mio imperterrito “buongiorno” e nella migliore delle ipotesi, precedendomi al portone, mi ha sbattuto lo stesso in faccia vedendomi arrivare.
Quindi tornando alla nostra signora cassiera, ben lontana dalla simpatia strabordante della felliniana cassiera di “Amarcord”, con l’incrementare degli affari basati sul marito che si spacca la schiena h24 nei laboratori, fiorisce.
Inizia con un nuovo taglio di capelli, la ricerca nei vestiti e negli smalti, l’oro appeso a chili al collo e alle orecchie e quello che il tocco finale, l’occhialino da vicino, con la catenella utilizzato per guardare dove mettere le firme nel momento in cui il ragioniere che ne cura la contabilità la viene a trovare sul posto, mentre una fila di clienti attende, perché lei novella “animale mitologica – mezza donna e mezza cassa” è da lì inamovibile.
E quando qualcuno di noi infastidito dall’attesa alla cassa, mentre la signora è al telefono a parlare di affaracci suoi, chiede, “posso pagare” questa novella “Dea Cali” infastidita e senza rivolgerci lo sguardo, senza proferire parola afferra il bigliettino datoci dai ragazzi ai banchi, i nostri soldi e butta lì sul posacenere il resto, con quel disprezzo tipico per il denaro da parte di chi ne ha visto tanto, tipico di chi ti fa una concessione, senza proferire un “grazie” convinta erroneamente di avere un monopolio.
Maledetta ignoranza, anche quell’euro buttato lì in quel modo, rappresenta 1936,27 lire guadagnate da qualcuno con il suo lavoro e poi un “buongiorno” o un “grazie” sono gratuiti, ma accendono la giornata di chi come me apprezza la cortesia per rimanere cliente.
Un abbraccio Epruno.