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Immigrazione, oltre le polemiche serve un progetto e un programma politico comune

domenica 24 Settembre 2017
Elio Sanfilippo
Elio Sanfilippo

Nei giorni scorsi abbiamo assistito a una dura polemica tra l’ex sindaca di Lampedusa Giusy Nicolini e l’attuale sindaco, Totò Martello, uscito vincitore nella recente competizione elettorale.

Il sindaco aveva denunciato i disagi provocati dalla presenza degli immigrati nell’isola che, sfuggendo a ogni controllo, scorrazzavano liberamente, invece di rimanere nel centro di accoglienza, seminando per i loro comportamenti poco ortodossi, tensione e paura tra i lampedusani.

Al sindaco aveva duramente replicato Giusy Nicolini accusandolo di avere ingigantito e strumentalizzato episodi marginali, usandoli al fine di acquisire un ulteriore consenso politico.

Alla fine tutto si è ricomposto: il sindaco ha spiegato che il suo intervento voleva essere solo una provocazione allo scopo di attirare l’attenzione sui problemi dell’isola e che purtroppo, sono parole sue, “alzare la voce a volte si rende necessario se si vuole essere ascoltati”.

Nel frattempo si era beccato il plauso delle forze di destra e da sinistra l’accusa di razzismo!

L’episodio è però significativo di una difficoltà delle forze democratiche e progressiste di costruire un progetto e una politica comune di fronte al problema dell’immigrazione. E’ questo un tema che per i prossimi decenni sarà una costante della nostra vita e che richiede una serie d’interventi sulle diverse cause che danno vita a questo esodo biblico.

L’aspirazione di fuggire dalla miseria, dalle guerre, dalle persecuzioni e tentare di migliorare le proprie condizioni di vita, in particolare per i propri figli, produrranno inevitabilmente sempre più richieste di aiuto, di asilo e di rifugio e non ci saranno leggi, eserciti o muri che potranno bloccare questa spinta alla sopravvivenza.

Un fenomeno mai conosciuto e che non può essere risolto, ovviamente dalle forze della destra populista e fascista che hanno alle spalle la cultura della violenza, dell’odio verso il diverso, già sperimentati nei campi di concentramento nazisti, e che vengono ancora oggi riproposti, ma da quelle forze che hanno un’idea di futuro, valori di democrazia, solidarietà e rispetto della dignità della persona.

Questo impegno non può però limitarsi solo in termini di emergenza e di soccorso, ma necessita di una strategia di lungo respiro, di un progetto organico su cui costruire una larga unità, pur con le differenze di sensibilità e di approccio culturale.

I due esponenti politici che hanno, infatti, duramente polemizzato, sono figli di una storia comune, essendo stati entrambi, militanti e dirigenti del PCI.

Totò Martello è stato allievo di Michelangelo Russo, uno dei leader dell’area migliorista che si riferiva a Emanuele Macaluso e Giorgio Napolitano, mutuandone la cultura riformista, aliena da ogni forma di astrattismo e incline al realismo politico.

Giusy Nicolini era, invece, espressione di quell’area politica che aveva caratteristiche più movimentiste e radicali, facendo riferimento, all’interno del PCI, a Pietro Ingrao. Due visioni differenti che però coesistevano in nome di valori comuni e di un progetto comune, ma che con la fine di quel contesto storico e con la sconfitta di quella prospettiva politica, le due diverse posizioni sono diventate inconciliabili, al punto di contrapporsi nelle elezioni comunali che hanno visto prevalere Totò Martello.

Una divisione e una frantumazione che ha caratteristiche nazionali e che richiederebbero un loro superamento, nuovi valori comuni e un nuovo progetto comune di fronte alle sfide inedite che siamo chiamati ad affrontare.

Tornando a Lampedusa non analizzeremo le ragioni della vittoria dell’uno e della sconfitta dell’altra. Se i lampedusani hanno scelto Martello, avranno avuto le loro ragioni e il neo sindaco avrà saputo interpretare meglio le ansie e i problemi economici e sociali che l’isola vive, compreso il tema dell’immigrazione.

Guai però se questa vittoria fosse interpretata come l’archiviazione del lavoro svolto dalla Nicolini, sarebbe un gravissimo errore.

Giusy Nicolini rimane una risorsa importante per il centro sinistra e l’area progressista, ha affrontato situazioni drammatiche con grande spirito di solidarietà e doti di capacità che hanno dato lustro e prestigio. non solo alla sua isola, ma all’Italia intera nel mondo.

Ecco perché sarebbe un segnale importante, una loro riconciliazione, almeno l’avvio di un dialogo su un tema che deve qualificare il cento sinistra se si vuole sconfiggere quell’impasto fascistoide di razzismo, populismo e demagogia che avvelena e deturpa l’immagine dell’Italia e offende la coscienza civile di ogni cittadino. Sarebbe anche un prezioso contributo alla costruzione di quel progetto e di quella strategia che permetta all’Italia e all’Europa di affrontare una delle più importanti e drammatiche questioni del nostro tempo.

Oggi questo è possibile anche perché su quest’obbiettivo si sta lavorando per impedire che sull’immigrazione si continui a fare leva sulle paure e affermare che l’unica strada possibile è quella di tirare giù la “saracinesca”.

Tra chi sostiene che non deve entrare più nessuno e chi, invece, dice porte aperte per tutti ovunque e comunque, occorre individuare un percorso che coniughi l’accoglienza con l’integrazione. E’ la nuova impostazione avviata dal ministro Minniti che, a me pare, abbia trovato conforto autorevole nelle parole di Papa Francesco che di ritorno dal suo viaggio in Columbia ha dichiarato: “Credo sia lecito per un Paese che ha fatto molto come l’Italia regolare i flussi migratori e domandarsi : ho abbastanza posti per accoglierli. Quindi occorre accoglienza regolando i flussi migratori e fermarli se i numeri diventano insostenibili”.

Non basta in fatti solo accogliere e assistere i migranti ma occorre dare a questi una prospettiva di vita civile e un’integrazione non solo economica ma anche civile e democratica.

Quando si dice che l’immigrazione non deve essere un problema ma una risorsa, questo è confermato anche di recente dagli economisti di Francoforte che attribuiscono grande merito alla ripresa economica dell’Europa al contributo degli immigrati e in particolare delle donne.

Quindi è una pura sciocchezza che sia il tema del lavoro l’elemento di conflitto tra i cittadini europei e gli immigrati.

A tal proposito credo che vada sostenuta l’iniziativa di Emma Bonino per abolire la legge Bossi Fini che prima ancora di essere sbagliata sul piano culturale ha finito per favorire la clandestinità.

Si è cosi, infatti, stabilito un nesso tra clandestinità e il lavoro nero, favorendo evasione fiscale, creando un’area di lavoratori in condizioni di clandestinità, lavoratori invisibili che, a parte lo sfruttamento inumano, sono esclusi da ogni minima forma di welfare.

Se da una parte è giusto chiedere agli immigrati di rispettare i principi costitutivi del nostro vivere collettivo, i valori di eguaglianza e libertà sanciti dalla nostra carta costituzionale, è altrettanto giusto riconoscere alle persone che vivono nel nostro paese di essere anch’esse portatori di diritti sociali, politici e civili.

Una società civile non si fonda sui ghetti con comunità di migranti che si chiudono in se stesse, né su una finta e forzata omologazione.

L’identità delle persone va rispettata, come noi chiediamo il rispetto delle nostre leggi, anche perché quella stessa identità, se non respinta e negata, tenderà progressivamente a modificarsi.

Se l’immigrato percepisce la necessità di difendersi da un ambiente ostile che non gli riconosce diritto di cittadinanza, la sua cultura o la sua religione, è spinto a difendere la sua identità in modo statico, e così si creano i muri, la diffidenza, l’ostilità.

E’ necessario, dunque, che su questi temi si riaccenda l’attenzione, la riflessione e l’iniziativa politica e sarebbe bello che questo segnale ripartisse da Lampedusa e magari ad iniziativa comune di Totò Martello e Giusy  Nicolini. Sarebbe veramente un bel segnale!

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