Una sentenza difficile da mandare giù anche per i riflessi di opinione e di biasimo che ha determinato.
Giulia Adamo, ex presidente dell’Udc e capogruppo di “Futuro e Libertà per l’Italia – Fli” nel periodo compreso fra il 3 novembre 2009 e il 26 ottobre 2010, oggetto di indagine e condannata dalla Corte dei conti nell’ambito dell’inchiesta sulle spese pazze all’Ars, in conferenza stampa prova a riannodare con difficoltà i fili di una vicenda articolata nel tempo e che si è andata a infrangere su un discriminante, un punto di cesura tra passato e presente, affermato dalla Corte dei conti in questi anni, l’obbligo di rendicontazione per i gruppi parlamentari per le spese sostenute per l’attività politica.
Non il confine leggero che in passato aveva autorizzato un costume diffuso da parte della politica siciliana a mettere nei soldi delle attività politiche e istituzionali anche quello che non era strettamente previsto sotto il profilo istituzionale.
“Dopo la sentenza di appello della Corte dei conti di Palermo, ha dichiarato- presenterò ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione”.
Adamo ha incontrato la stampa per annunciare il ricorso in Cassazione insieme con il suo legale, l’avvocato Alessandro Dagnino, dopo la condanna della Corte dei conti per un danno erariale di 65.554 euro nell’ambito dell’inchiesta sulle “spese pazze” all’Ars. Adamo è stata condannata, così come gli altri presidenti dei gruppi parlamentari di quel periodo che furono convenuti in giudizio, per spese che la magistratura contabile ha ritenuto costituiscano un danno erariale. “Il regolamento dei gruppi parlamentari – ha aggiunto – non prevedeva, al tempo dei fatti, alcuna indicazione sulla destinazione delle spese ammesse a rimborso. L’interpretazione allora consolidata prevedeva la possibilità destinare i contributi dei gruppi non solo a iniziative strettamente legate all’attività legislativa, ma anche a iniziative di natura politica. La Corte dei conti è stata di diverso avviso, non ritenendo ammissibili le spese connesse all’attività politica”
C’è un’amarezza distinta e netta nelle sue parole. Oggi è rimasta fuori dalla scena politica, si riserva nei prossimi giorni di proseguire con una battaglia giudiziaria a difesa del suo territorio, quello marsalese e dalla provincia di Trapani, ma non nasconde la perplessità che attribuisce a una gogna mediatica che generalizza: “Un conto è trovare i colpevoli e distinguere le situazioni, un altro è sparare nel mucchio” E poi conclude: “Devo rispondere io e il partito no? “