Una bandiera che non sventola più quella dell’Autonomia siciliana. Sono in molti a volerla riporre con cura, rinunciando a esibirla. Non c’è più orgoglio nella citazione, ma solo gradazioni diverse di disapprovazione.
Un arco ampio che va dal centrodestra con Musumeci che ha parlato di un profondo ripensamento dello Statuto e una modifica che lo adegui alle cose a Faraone che ieri ha offerto una sintesi al veleno nei confronti di uno strumento che, a suo avviso, con un referendum secco andrebbe in soffitta per sempre: “La Sicilia, con la sua autonomia, è stata un triciclo. Non è detto che maggiore autonomia corrisponda per forza ad un migliore governo. Nella mia regione, per colpa dello Statuto tutte le riforme nazionali, di destra o di sinistra, o non sono state recepite o sono state applicate con i piedi, se mi passa il termine. Una barzelletta, insomma”
Considerazione che non è sfuggita al candidato della sinistra radicale siciliana Claudio Fava che ha opposto una secca replica: “Il sottosegretario del governo Renzi, Faraone, ha sostenuto ieri che l’autonomia non serve alla Sicilia. Il suo candidato, Micari, ha risposto oggi che quella dell’esponente di governo era solo una provocazione. Come si vede, non si mettono d’accordo neppure su monarchia o Repubblica e vorrebbero tornare a governare la Sicilia”.
Sullo Statuto siciliano si sono abbattuti in questi anni i fulmini della politica che ha giocato su un doppio piano di discussione. Di lotta e di governo. Di contrasto e di populismo. Quasi mai di specifica attenzione e di uso mirato delle risorse della Sicilia.
Molto più incisiva, spassionata e romantica l’analisi dello scrittore Pietrangelo Buttafuoco: “Lo statuto speciale è una iattura, una vera e propria sciagura per i siciliani. L’autonomia che tanto agognano i lombardi è una cosa meravigliosa ma non è adatta alla Sicilia, la sua storia ha bisogno d’altro. È come una Rolls Royce dove però il motore risulta fuso. La Sicilia va commissariata, ma non per fare poi le elezioni. Noi più che di elezioni abbiamo bisogno di un trauma forte, che svegli la coscienza dei siciliani”.
Una posizione di contrarietà non all’essenza intima dello strumento, ma all’uso contaminato e spesso fuori luogo che in Sicilia è stato fatto, saccheggiando a piene mani dalle prerogative utilizzate più o meno impropriamente.
Oggi ai siciliani che andranno al voto nessuno ne parlerà, se non nei modi e nelle forme delle strategia di comunicazione ritagliate su misura. Fino a quando questo resterà un tema trattato nelle sue linee generali e non in profondità, c’è da scommettere che sarà solo una lunga agonia. Fino al giorno in cui tornerà ad essere dimenticato.
Dopo il 5 novembre l’argomento andrà sotto naftalina. Se ne riparlerà tra 5 anni esatti. Scommettiamo?