È stata una lunga rincorsa alla normalizzazione quella di Matteo Renzi sulle elezioni regionali in Sicilia. L’ultima filastrocca: “Micari indicato da Orlando è il migliore candidato in campo”, il segretario DEM l’ha tirata fuori con largo anticipo, evidenziando una linea marcata di presa di distanza dai destini elettorali della vicenda regionale con quella nazionale: “Vinca il migliore”, il sottotitolo che ha lasciato smarriti quanti ancora speravano di non dover notare il distacco di Renzi dalla partita.
Un modo per dire in sostanza “noi non ci abbiamo messo mano”. Considerazione che, tecnicamente è l’esatto opposto di quel che è successo, poiché l’imprimatur renziano è stato decisivo, e inoltre sostanzialmente colloca ancora una volta pilatescamente il segretario del Pd in una condizione per la quale ammette di dovere uscire dalle corde.
Il prendere avanti degli ultimi giorni sul ridimensionamento della portata del risultato del Pd nell’Isola ingigantisce solo i limiti dell’asset renziano.
L’unico dato certo da cui si può partire, al di là del perimetro dei numeri, dei voti e dei seggi, è che il Pd non ha difeso la candidatura del governatore uscente e ha provato a ripararsi dietro l’ombrello di un ‘modello Palermo’ che è stata più una giaculatoria di quelle che fanno compagnia ai discorsi, che una reale soluzione messa in campo.
Spetta al dibattito interno che andrà ad aprirsi nei prossimi giorni tra Palermo e Roma, individuare il peso specifico delle responsabilità. Quel che si delinea è la difesa a tutto campo di Renzi, con qualche concessione in cui potrà essere sacrificato l’eccesso di renzismo, che nell’Isola ad esempio, ha provocato disastri, mentre la presa d’atto di una potenziale sconfitta elettorale sarà attutita, come una circostanza su cui riflettere, per poi andare oltre.
I fatti, prima ancora dei numeri di domani, dicono che dopo il 40% delle Europee, sono arrivate in successione: la vittoria in Emilia alle Regionali con oltre la metà dei voti persi (37% di affluenza rispetto al 68%), le sconfitte alle amministrative di Roma e Torino, la batosta del referendum e le amministrative di giugno, dove nel capoluogo siciliano, vincendo, il centrosinistra ha messo in campo il ‘fatale‘, a questo punto, modello Palermo.
Martedì, andando da Floris, nel faccia a faccia con Luigi Di Maio, staremo attenti a contare quante volte Renzi userà la parola Sicilia. Avere accettato la sfida di Di Maio in tv, non significa necessariamente poterla vincere.