Carissimi
Mi sono incontrato per strada e specchiandomi in una vetrina non mi sono riconosciuto, non ero quello dei miei racconti e dei miei pensieri, non ero lo stesso dello specchio di casa mia e credetemi, avendo molta stima di voi lettori sono certo che avrete compreso che i chili, il fisico, l’esteriorità non c’entrano nulla con quanto vi racconterò riferito a questo periodo di “arresti domiciliari per covid” lasciato alle spalle.
In questo strano periodo di ricerca interna, privato da alcune libertà, mi sono reso conto che quelli che io consideravo “i miei problemi” tali non erano più, essendo così tanti per rimanere “miei” in rapporto alla prospettiva della mia aspettativa di vita e delle mie attuali capacità.
Ho iniziato pertanto a pensare per una volta e per tutte che “i miei problemi” erano stati non ereditati, ma condivisi nella mia vita quotidiana e qualora fossero rimasti tali, ci sarebbe stato certamente chi li avrebbe fatto suoi, un domani in mia assenza, a maggior ragione se io li avessi nel frattempo risolti.
Quindi alla fine di questo tunnel (ormai l’uscita è vicina) ho fatto una scelta che suggerisco anche a Voi miei 24 lettori, semplificare la vita da rapporti che ci peggiorano, ci svuotano, ci attribuiscono un ruolo di “psicanalista clandestino” che non ci compete, per intenderci, iniziando dall’eliminare qualunque rapporto che non fosse biunivoco.
Ho deciso di dedicare il mio prezioso tempo alla ricerca della qualità di vita e della bellezza, ad iniziare dalla gente, certo che sia compito di genitori, mariti e mogli l’onere di sopportarsi i casi umani e non il mio, non è il mio mestiere, non sono così bravo.
Non mi sono riconosciuto e c’è voluta questa pandemia che accorcia le distanze nel mondo per prendere io le mie distanze da certo mondo.
Non avevo impiegato questo tempo di clausura per studiare e mettere ancora titoli dentro per competere con il prossimo (sono consapevole che esiste un tempo per seminare e uno per raccogliere), ma stanco di aver vissuto “le vite degli altri” (che alla fine ti lasciano solo un bigliettino con scritto “grazie”), avevo cercato di ritrovare me stesso e allora sono tornato ad osservare poggiato al davanzale della mia finestra, “la bellezza”, il “bello della vita”.
Per quanto concerne la prima, dico che esiste di certo l’oggettiva bellezza che credetemi spesso è un peso, poiché va coltivata e curata nella conservazione di un mito che si coltiva negli altri ma non tutti sono in grado di sostenere questo peso e quando la bellezza diventa da ostacolo per poter vivere a proprio aggio in mezzo agli altri, credetemi, ne faremmo a meno.
Siamo d’accordo anche noi sul luogo comune del “bello e antipatico, brutto e simpatico”, per non parlare dei difetti che spesso ci rendono unici e molto desiderabili? Tutti riusciamo in qualche modo ad “impuparci”, a truccarci a metterci su, e le mascherine in ciò ci hanno dato anche una mano d’aiuto, perché l’essere umano si può permettere ciò anche senza necessariamente passare dal chirurgo plastico o da soventi iniezioni di botulino.
Se siamo belli dentro, se siamo belli fuori attraverso un coinvolgente sorriso o un amichevole sguardo, risultiamo comunque gradevoli affidandoci poi al gusto personale e all’affinità elettiva.
Ma la bellezza non va via con l’età neanche quando siamo vecchi decrepiti, la nostra presenza, la nostra signorilità, la nostra gradevolezza nel porci è di certo svincolata dal tempo.
Per quanto riguarda infine il “bello della vita” vorrei salutarvi con una breve storia.
Li vidi un giorno davanti al portone, e mi fecero subito una grande simpatia e tenerezza, pensai subito “vorrei arrivare alla loro età con il loro spirito”.
Lui 90 anni alto, ben vestito, ma ormai curvo sul suo bastone, malgrado l’età ed i suoi capelli bianchi manteneva intatto il suo fascino e ci stava ancora a provare con lei, uscita dal supermercato, l’amore mancato di una volta, sempre giovane ed in tiro con i suoi splendidi ottantacinque anni, il rossetto rosso, i suoi denti perfetti grazie alla sua dentiera frutto del grande lavoro del dentista di fiducia ed i suoi capelli color ruggine.
È vero, do ragione al poeta “la stagione dell’amore viene e va e i desideri non invecchiano, quasi mai, con l’età”.
Non ebbero mai occasione per una serie di circostanze e coincidenze, ma alla fine della vita stavano li a parlare quasi a voler flirtare parlando di medici, malanni e medicine o di amici e parenti che non c’erano più, della loro vedovanza e più li guardavo, più non vedevo quei due anziani signori ma li immaginavo come erano all’epoca dei loro venti anni, lo stesso sorriso, la stessa risata di lei coinvolgente e il tempo non era passato ma soprattutto non aveva alcun valore e il futuro cosa volete sarebbe stato.
Lessi di loro il giorno in cui li trovarono seduti sulla panchina della villa vicino casa, mentre sembrava stessero riposando, tenendosi per mano, vicini e con la testa di lei poggiata sulla spalla di lui, se ne erano andati insieme coronando il loro sogno.
Con un po’ di tenerezza e tanta invidia, penso che loro hanno avuto anche se tardiva la loro occasione, non tutti siamo così fortunati, per molti l’autobus passa una volta sola e allora diventa importante cogliere l’occasione, fare prima ciò che ci fa stare meglio. Un abbraccio, Epruno.