Si avvicina la data delle elezioni, il 25 settembre, e la campagna elettorale si fa sempre più infuocata. Tanti sono i campi di scontro per i partiti. Anche all’interno delle coalizioni sembra che, in alcuni casi, ci siano vedute diverse. Uno dei temi più chiacchierati è sicuramente quello del reddito di cittadinanza, promosso dal Governo Conte I nel 2019 e sempre al centro di polemiche e discussioni.
I PROGRAMMI ELETTORALI
Sorge dunque una domanda: cosa ne sarà del reddito di cittadinanza? Vediamo le proposte dei partiti
CENTRODESTRA
Il programma del centrodestra sembra avere un filo conduttore comune: la sostituzione della misura. Ma, scendendo più nel dettaglio le proposte dei partiti si differenziano.
La linea più soft è dettata da Forza Italia. Il partito del Cavaliere punta a ridurre la platea dei destinatari. L’idea sarebbe quella di destinare circa 4 miliardi di euro su altri interventi sociali, come le pensioni.
Dopo il contributo nella formulazione della riforma, avvenuto durante il Governo giallo-verde, la Lega di Matteo Salvini sembra aver avuto dei ripensamenti sull’efficacia del reddito di cittadinanza. La proposta avanzata sarebbe quella di mantenerlo solo per chi non può più realmente lavorare, come disabili o anziani con la pensione di cittadinanza.
Pugno di ferro invece per Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia non ha dubbi: il reddito di cittadinanza va abolito. La ricetta è quella di puntare su politiche attive di formazione e inserimento nel mondo del lavoro e misure più efficaci di inclusione sociale.
PD
Revisione è invece la parola d’ordine del PD. La riformulazione della misura partirebbe dalle linee guida della Commissione Saraceno. Istituita a marzo 2021 dal Ministero del Lavoro, è composta da diversi esperti nell’ambito della povertà e dell’economia ed è presieduta dalla sociologa Chiara Saraceno. Tre sono i punti di partenza, che corrispondono alle indicazioni fornite a novembre 2021 dal Comitato scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza. Il primo punto riguarda i criteri che al momento penalizzerebbero le famiglie più numerose con minori. Secondo, l’eliminazione dei disincentivi al lavoro ed infine la riduzione dei 10 anni di residenza in Italia per accedere al sussidio.
TERZO POLO
Una misura pensata, scritta e applicata male: questo è il punto d’incontro trovato da Azione e Italia Viva. Calenda sembra però aver convinto Renzi ad abbandonare l’idea di abolire il reddito di cittadinanza. Il leader di Azione punta ad una riscrittura della misura. Sostanzialmente sono 5 i punti su cui ruoterebbe il nuovo sistema: il ritiro del sussidio dopo il rifiuto di una prima offerta congrua; un limite di due anni per trovare lavoro e la riduzione di un terzo della cifra percepita; la presa in carico dai servizi sociali comunali; la possibilità per le agenzie private di accedere ai dati dei Centri per l’impiego e affiancarli; la riqualifica dei percettori tramite scuole di formazione.
M5S
Il reddito di cittadinanza è stato la bandiera del M5S nella scorsa campagna elettorale. Molte cose sono cambiate da allora e persino il ‘padre’ del reddito, Luigi Di Maio, al momento dell’approvazione Ministro allo Sviluppo Economico e del Lavoro, ha lasciato il Movimento e adesso corre con il suo Impegno Civico. La linea di Giuseppe Conte è chiara: il reddito non va toccato, anzi va rafforzato. Due sono i fronti sui quali lavorare: l’introduzione di politiche attive per rendere il sistema più efficiente e un’attenzione particolare rivola alla stesura di misure antifrode.
IL BILANCIO: PROMOSSO O BOCCIATO?
Il reddito di cittadinanza nasce come misura per contrastare la povertà e venire incontro alle famiglie meno abbienti. Grande novità è stata l’introduzione di una nuova figura professionale, quella del Navigator, il cui triste epilogo, tra proteste, sit in e accordi con le Regioni, è stato al centro dell’opinione pubblica negli ultimi mesi.
Il sussidio ha riscosso grande successo tra gli italiani e sicuramente è stato forte l’impatto sull’acquisto dei beni di consumo. Da non sottovalutare è l’aiuto decisivo alle famiglie che più hanno sofferto le misure restrittive applicate durante la pandemia. I dati relativi al 2021 hanno però dimostrato come la misura sia costata allo Stato ben 8,8 miliardi di euro. Il periodo coincide anche con il picco dei percettori complessivi: 3,9 milioni, e più in generale 1,8 milioni di famiglie.
Gli ultimi dati disponibili, resi noti dall’Inps e che riguardano il mese di luglio, dimostrano come la maggior parte dei richiedenti e dei percettori si trovi al Sud e nelle Isole. La Sicilia si trova al secondo posto, preceduta dalla sola Campania.
Proprio la Sicilia potrebbe diventare la prima regione italiana a far partire il programma Gol (garanzia occupabilità lavoratori) che coinvolge i Centri per l’impero ed anche i Navigator. Il progetto è finanziato con i fondi del Pnrr. All’Isola sono stati destinati 900 milioni di euro, quasi un quinto del totale nazionale.
La questione Navigator è stata abbastanza rocambolesca negli anni. Il mancato rinnovo dei contratti ha portato ad una loro drastica diminuzione. Dai 3000 iniziali ne sono rimasti solo un migliaio in tutta Italia. Circa 300 sono quelli in servizio in Sicilia. Differente è stata la loro gestione da Regione in Regione. Dal 31 luglio, infatti, Lombardia, Piemonte, Veneto, Umbria e Campania hanno rinunciato alla loro assistenza. Il futuro dei Navigator sembra essere segnato dall’assorbimento nei Centri per l’impego, come già avvenuto in molti casi. Ma i risultati non permettono di intravedere scorci di miglioramento, o innovazione, rispetto al passato.
Secondo il report Anpal del 2021 la Sicilia registra i numeri peggiori in materia di inserimento nel mondo del lavoro. A sei mesi dal primo beneficio, solo il 14,8% ha ottenuto almeno un contratto lavorativo. A 12 mesi, la percentuale sale al 15,4%. La media è al di sotto di quella nazionale: arriva al 22,7% al sesto mese dal primo beneficio e arriva al 23,2% a un anno di distanza.
Fonti tra i Navigator dimostrano come i dati negativi siano dovuti anche a problemi ben più profondi. La maggior parte dei beneficiari del reddito, infatti, presentano diverse caratteristiche negative che avrebbero inevitabilmente inciso sul loro stato di occupabilità: bassa scolarizzazione, scarse esperienze e qualifiche professionali e lontananza dal mercato del lavoro.