La tragica morte del bracciante Satnam Singh ha provocato sgomento e sconcerto a livello nazionale, varcando i confini della provincia di Latina e del Lazio, riportando a galla un tema, come quello dello sfruttamento sui campi, troppo spesso relegato ai margini e ritenuto prettamente un “problema meridionale“. Così effettivamente non è. Di tempo certamente ce n’è voluto, ma da anni ormai l’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil monitora e fornisce dati e storie sul caporalato, evidenziando qualche contrasto tra realtà, preconcetti e pensiero comune.
La Sicilia, che stima oltre sessantamila lavoratori impiegati, traina con sé il desolante primato per aree individuate, ben 53, seguita da Veneto (44), Lazio (39) ed Emilia Romagna (38). Un “top five” diversa da quella che ci si poteva immaginare. L’Isola dal canto suo, però, si trova anche in prima linea sul fronte opposto: quello del contrasto.
Sulla base di un protocollo d’intesa, stipulato nel 2016 e rinnovato nel 2022, la Regione è divenuta capofila di una collaborazione con altre quattro realtà del Sud: Basilicata, Calabria, Campania e Puglia. I progetti, finanziati dalla Commissione Europea, dal Ministero dell’Interno e del Lavoro, hanno riscosso successo e i numeri soddisfacenti dell’Helpdesk Anticaporalato, Su.Pr.Eme. e P.I.U.Su.Pr.Eme. sono stati premiati con la riconferma e dunque con nuove risorse da investire in ulteriori interventi, incrementando anche quelli esistenti. Qualche mese fa, infatti, è stato presentato il nuovo piano quinquennale Su.Pr.Eme.2 (CLICCA QUI).
Per stilare il nuovo piano quinquennale, l’Assessorato della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro della Regione Siciliana è partito da una fotografia dettagliata del territorio che, oltre a focalizzarsi sulle gravi condizioni di sfruttamento, parte dall’emergenza abitativa, uno dei punti cardini del caporalato.
IL QUADRO SICILIANO
In Sicilia la manodopera straniera rappresenta quasi un terzo della forza lavoro agricola, proveniente soprattutto da paesi come Romania, Tunisia, Albania, Marocco, Senegal. Questi lavoratori vivono soprattutto in insediamenti informali, 53 dislocati in tutta l’Isola.
La cabina di regia regionale è partita così dall’individuazione di questi “non-luoghi“, così definiti proprio per le loro peculiarità. Ogni territorio rappresenta dei tratti similari, che li lega tra loro e permette di delineare un quadro del fenomeno, ma contemporaneamente ognuno presenta dei tratti differenti, che possono variare per la tipologia del raccolto, per la durata degli insediamenti (permanenti o stagionali) o per il modo in cui si articola il lavoro. Un esempio? Nel Siracusano, e in maniera meno definita ad Agrigento e Trapani, è stato possibile osservare una forma di “caporalato 2.0”, che consiste nell’utilizzo di cooperative fittizie create ad hoc durante i periodi di raccolta e che vengono chiuse o fatte fallire immediatamente al fine di evadere gli obblighi contributivi e talvolta retributivi nei confronti degli stranieri che si trovano in una posizione asimmetrica del potere contrattuale. Altri fenomeni, ad esempio, si verificano a Caltanisetta, dove si è notato come il caporalato sia gestito da stranieri di nazionalità prevalentemente marocchina, che reclutano braccianti di nazionalità subsahariana, principalmente somala.
Frazioni nevralgiche del fenomeno sono: il Ragusano e il Trapanese con otto insediamenti, la provincia Catanese con sei insediamenti e dove si registrano nazionalità più variegate tra rumeni, albanesi, marocchini, cinesi, nigeriani, gambiani, senegalesi, egiziani, ghanesi, siriani, guineani e somali, e l’Agrigentino. Quest’ultima presenta un quadro particolare. Si tratta, infatti, della prima provincia in Italia ad accogliere flussi migratori significativi. Tendenzialmente è un territorio di transito, ma i migranti che decidono di stabilirvi affrontano sfide nell’accesso al mercato del lavoro, in un contesto economico complesso, dove il lavoro informale rappresenta la prima opportunità per molti di loro. La zona è anche tra quelle con raccolti stagionali più variegati: fragole, uva, olive, arance, pesche, cipolle, pomodori, albicocche e peperoni.
L’OSTELLO DI CASSIBILE E L’EX CEMENTIFICIO NEL TRAPANESE
All’interno di questa sintetizzata fotografia vi sono degli esempi di buona prassi, realizzati, seppur con molte difficoltà e tanti alti e bassi, nei due più grandi insediamenti di lavoratori stranieri in Sicilia: uno a Castelvetrano e Campobello di Mazara e uno a Cassibile.
Alcuni “non-luoghi” sono popolati tutto l’anno mentre sono in aumento i lavoratori che arrivano sul territorio per le raccolte stagionali, come quelle dell’uva, delle olive o delle arance. La maggior parte di loro vive in condizioni al dir poco disumane. Si tratta di fabbricati, tendopoli, baraccopoli estremamente degradate e circondate da cumuli e cumuli di rifiuti, strutture precarie e cadenti, sovraffollate, fatiscenti e in condizioni igienico-sanitarie del tutto inadeguate, dove mancano quasi del tutto i servizi primari, compresi in molti casi elettricità, acqua, gas o sistema fognario. Anche a causa degli affitti e dei subaffitti troppo alti, 150-200 euro a persona, alcuni lavoratori si sono ritrovati a dormire sui campi, sotto gli alberi o nei casali abbandonati.
“L’Ostello di Cassibile“, nel Siracusano, nasce nell’aprile 2021, dalla collaborazione della Regione con il Ministero dell’Interno, il Comune, la prefettura e le associazioni datoriali, come un villaggio di accoglienza per i lavoratori stranieri durante il periodo della raccolta, capace di fornire tutti i servizi essenziali. Con una capienza di 104 posti, oggi è divenuto insufficiente, considerando come ogni gruppo di lavoratori sia composto da un numero che varia dalle 200 alle 300 persone. Chi non è riuscito a trovare spazio ha comunque potuto usufruire dei servizi messi a disposizione. Adesso la struttura verrà implementata con i fondi stanziati dal Ministero e dal Pnrr, che dedica una voce specifica al superamento degli insediamenti informali.
Nel Trapanese una delle strutture simbolo di degrado è divenuto l’ex cementificio a Castelvetrano. Un problema non ancora risolto, tra sovraffollamento di lavoratori sfruttati, spaccio di droga e giri di prostituzioni, ma che si è cercato di sopperire con un campo di accoglienza a Fontane d’Oro, a Campobello di Mazara, gestito dalla Croce Rossa.
TANTO C’E’ ANCORA DA FARE
Una soluzione abitativa ordinata è certamente utile, ma non è l’unica soluzione. Al fianco di tutti questi elementi, a comporre il vasto puzzle ci sono anche indifferenza e una scarsa sensibilità in alcuni territori, spesso non disposti a collaborare, senza dimenticare le attività malavitose intrinseche all’interno del tessuto sociale.
Quello su cui si punta, dunque, è un sistema che tenda la mano al lavoratore sfruttato, accompagnandolo in un percorso di riscatto, che parta dalla denuncia e si completi con l’avvio di un lavoro regolare. Ma a saltare molto spesso è proprio il primo ingranaggio: tra chi ha paura di non poter più lavorare, chi non ha il permesso di soggiorno, chi ce l’ha ma gli viene “sequestrato” dal datore di lavoro in cambio di un contratto regolare, chi viene minacciato per avere in cambio un alloggio o chi addirittura non riconosce il proprio status di “lavoratore sfruttato“, con paghe misere e orari di lavoro che sfiorano anche le 12 ore al giorno, perché abituato al contesto del proprio Paese d’origine.
In tal senso sembra che i progetti messi in atto dall’Assessorato della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro abbiano dato i loro frutti. Partendo pressoché da zero, i contatti presi in carico dall’Helpdesk Anticaporalato sono stati oltre diecimila, circa milleduecento quelli dei Poli sociali ed un incremento significativo è avvenuto anche per gli Enti Antitratta. Elemento significativo, inoltre, è la provenienza delle chiamate. Il 55%, infatti, proviene dal Nord.
Visti i numeri raggiunti a oggi, nonostante tanto ci sia ancora da fare, tra campagne di sensibilizzazione e irrobustimento dei controlli, penalizzati dalla mancanza di un numero adeguato di ispettori del lavoro sostenuti da mediatori, per cui la Sicilia, unica in Italia, si è adoperata di un elenco apposito, tante speranze sono così riposte nel progetto Su.Pr.Eme. 2.