IlSicilia.it ha intervistato Pino Apprendi, garante dei detenuti del Comune di Palermo, che da tempo pone al centro dell’attenzione tutte le problematiche all’interno delle carceri palermitane.
I detenuti al Pagliarelli, all’ex Ucciardone e al Malaspina affrontano da tempo sovraffollamento, afa, penuria d’acqua e difficoltà nei servizi sanitari. Il sentimento di abbandono cresce tra le persone fragili all’interno delle strutture.
Sindacati e garanti dei detenuti in tutta Italia da tempo chiedono più psicologi e psichiatri, oltre a servizi extramurari e segnalano carenze e problemi di diversa natura a vari livelli. Gli agenti di Polizia Penitenziaria continuano a subire aggressioni all’interno degli istituti, con dati in crescendo e via via sempre più preoccupanti.
Il D.L. 92/2024, approvato dal Consiglio dei Ministri nella tarda sera del 3 luglio 2024 e presentato quale risposta del Governo all’emergenza carceri, che da mesi ormai imperversa nel dibattito pubblico a causa del numero di suicidi registrato nella prima metà del 2024 negli istituti di pena italiani, è stato pubblicato in gazzetta Ufficiale il 4 luglio 2024 recante le “Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia”.
Nonostante le richieste di ammorbidire le pene con misure come la liberazione anticipata speciale, il Governo ha mantenuto una linea ferma. Il Guardasigilli ha chiarito pubblicamente che non intende approvare provvedimenti volti a ridurre le pene o a diminuire drasticamente la popolazione carceraria. Il decreto, inizialmente soprannominato dai media “Svuota carceri”, è stato ridenominato dal Ministro Nordio come un’iniziativa per garantire la sicurezza delle carceri e rendere le pene più umane.
Tuttavia, nonostante le dichiarazioni ufficiali che enfatizzano l’umanità del provvedimento, molti ritengono che esso sia più incentrato sulla sicurezza, affrontando solo superficialmente alcune problematiche significative. Gli strumenti proposti e l’ordine delle misure suggeriscono un approccio che fatica a fornire soluzioni tempestive ed efficaci ai problemi che si propone di risolvere.
Il decreto prevede la creazione di un albo di comunità per detenuti con un breve residuo di pena, tossicodipendenti e altri reclusi che devono completare la loro condanna. Viene anche semplificata la procedura per la liberazione anticipata.
Tra le novità introdotte figurano misure sulla presunzione d’innocenza e la certezza della pena, l’istituzione di figure di ascolto per la prevenzione dei suicidi e l’aumento del numero di telefonate mensili per combattere l’isolamento dei detenuti.
Il decreto prevede inoltre l’assunzione e la formazione di nuovi agenti penitenziari per far fronte alla cronica carenza di personale nelle strutture carcerarie, oltre a miglioramenti infrastrutturali e organizzativi volti a rendere le carceri più umane.
Queste misure puntano a bilanciare la sicurezza e la dignità umana all’interno delle carceri, anche se resta da vedere quanto effettivamente contribuiranno a risolvere le problematiche attuali del sistema penitenziario.
Con Pino Apprendi, all’interno di un luogo simbolico in tema di diritti umani come il Giardino dei Giusti, abbiamo analizzato il decreto “Carcere sicuro”, che si rivela essere una misura insufficiente su più fronti: “Il decreto non ha punti di forza, è il cosiddetto topolino partorito dalla montagna”. Per quanto riguarda la polizia penitenziaria, secondo il garante, le assunzioni previste non andrebbero a risolvere il sottodimensionamento del personale penitenziario e a coprire gli agenti che andranno in pensione, inoltre viene ignorato il carico di lavoro e responsabilità che gli agenti e gli operatori si assumono: “Il grande assente è il ministero” – afferma Apprendi – “Non può essere tutto demandato all’operatore che tutti i giorni affronta le difficoltà in prima persona“. Tutto ciò si aggiunge ai problemi e ai disagi dei detenuti. “La situazione è drammatica e peggiorata” – continua il garante dei detenuti – “Il sovraffollamento persiste, le condizioni generali non sono delle migliori. Le carceri italiane non svolgono la funzione rieducativa, in questo momento si esercita esclusivamente la repressione”. Per Pino Apprendi, quindi, il decreto appena varato non rappresenta un vero passo in avanti per un carcere più umano: “Non c’è la valutazione di un rapporto umano tra Stato e detenuto: questa mancanza scatena gli episodi di autolesionismo, di tentato suicidio e di suicidio. Inoltre viene dimenticato il dramma dei familiari. L’affettività non viene messa in campo”. Dalle carceri italiane si alza un urlo: “l’urlo è per umanizzare la pena, per avere più rapporti con la famiglia, per avere più assistenza medica, per avere la possibilità di lavorare restando in carcere. Questo è ciò che raccolgo io tutti i giorni” conclude Apprendi.
Intervista di Samuele Arnone e Joska Arena