Avere figli piccoli e lavorare è possibile? La risposta nel nostro Paese è no. Sono ancora tantissime le coppie con figli in cui lavora un solo genitore, e non è la donna. Per scelta e molto più spesso per necessità.
Questo è quanto emerge dal report “Donne, Lavoro e Sfide Demografiche“, in cui si rileva che spesso a lasciare il lavoro sono le madri, perché dei due stipendi a disposizione per la coppia si preferisce fare affidamento su quello più alto che solitamente è quello dell’uomo.
Sebbene il 2024 si sia aperto con un segnale di ripresa del tasso di occupazione femminile, trainato dalle fasce più adulte di popolazione, l’Italia rimane fanalino di coda a livello europeo e si trova a dover affrontare una sfida occupazionale determinante per la sostenibilità del sistema Paese. In Sicilia, soprattutto, sono ancora tante le donne che trovano ostacoli nella realizzazione professionale, minacciate da condizioni di indigenza, gravate da pesi supplementari, talvolta difficilmente sostenibili, tra il lavoro e la cura della famiglia, sottopagate o escluse da un’occupazione stabile e a tempo indeterminato.
“Il governo attuale deve ascoltare le parti sociali, i sindacati. Cgil, Cisl e Uil hanno infatti presentato una vera e propria agenda per la parità di genere, dando delle indicazioni concrete e trasversali sia per il governo che per tutte le parti politiche“, commenta Valentina Chinnici deputata del Pd all’Assemblea regionale siciliana. “E credo che queste istanze non siano state assolutamente prese in considerazione“.
Occupazione femminile e natalità sono due fenomeni strettamente correlati tra loro che affondano le proprie radici in una cultura stereotipata, che vede la donna come colei che ‘cura’ la famiglia e la casa. Questa penalizzazione non solo fertilizza lo sviluppo di pregiudizi e dinamiche culturali e sociali viziose, ma è anche sintomo di una forte vulnerabilità che incide sull’intero mercato del lavoro.
Un mercato del lavoro che non è in grado di sistematizzare e sostenere l’occupazione femminile, quella giovanile, conciliare le necessità di vita e lavoro, e agevolare le scelte di genitorialità. Le madri in questo modo saranno sempre più spinte ai margini del mercato del lavoro con lavori sempre meno qualificati e quindi meno retribuiti, innestando un vero e proprio circolo vizioso.
L’Italia è il paese che investe meno in servizi a sostegno della maternità, specie nella fascia 0-3 anni, e questa spesa si concentra principalmente su trasferimenti in denaro alle famiglie. La Sicilia, di contro, sta tentando di prendere provvedimenti e misure di sostegno con una forte attenzione al benessere, alla salute e alla qualità della vita delle lavoratrici donne, l’assessorato della Famiglia, delle Politiche sociali e del Lavoro è sempre più impegnato per la tutela e i diritti di tutte le donne. Ma tutto questo basta?
“Ogni tanto escono dei bandi ma sono spot, in base al finanziamento di turno ma in realtà la Regione dovrebbe avere una visione completa. In questo campo siamo a zero. Non esiste una strategia complessiva“, dichiara il deputato.
Numeri alla mano, in questo momento stiamo osservando un importante cambiamento nella struttura demografica del paese, abbiamo uno fra i più alti valori del tasso di dipendenza (37,5% verso una media UE27 del 33%, dati 2022) e uno fra i più bassi tassi di fecondità d’Europa (1,24 verso 1,84 Francia, 1,58 Germania e una media UE27 di 1,53, dati 2022). La bassa fecondità del nostro paese non è dovuta tanto al fatto che i giovani e le giovani desiderino avere meno figli rispetto ai loro coetanei francesi o tedeschi ma è conseguenza del non trovare le condizioni favorevoli per combinare scelte di vita e di percorso professionale all’altezza delle legittime aspettative, della forte riduzione della popolazione femminile in età fertile (fascia 15-49 anni) e dell’innalzamento dell’età media al primo figlio (31,6 anni in Italia nel 2021 salita a 31,7 nel 2022 verso una media UE27 2021 di 29,7 anni). Oltre a essere caratterizzata da questo grave “inverno demografico”, l’Italia presenta un serio sottoutilizzo del capitale umano femminile trovandosi all’ultimo posto in Europa.
“Si dovrebbe iniziare da un piano straordinario per l’occupazione femminile in Sicilia. Dagli anni del covid in poi c’è stato un vero e proprio crollo. Bisognerebbe avere una strategia chiara della Regione e bisognerebbe dotarsi di strumenti legislativi come il bilancio di genere, che è presente nelle altre regioni, che dica chiaramente dove e come il governo alloca le risorse, fondi per incrementare l’occupazione femminile e aiutare le donne“.
Per esempio, le strutture sociali come gli asili nido oltre ad essere fondamentali per la lotta alla dispersione scolastica perché aiutano lo sviluppo cognitivo per bambini, “servono anche come strutture di aiuto e di supporto per le donne e le famiglie che lavorano“.
Il tema della parità di genere continua ad essere molto caldo. “L’orientamento di prevedere una legge regionale sugli enti locali con un limite per le donne nelle giunte comunali addirittura inferiore rispetto a quanto già previsto al livello nazionale (il 40%), consegna ancora una volta i limiti di una politica siciliana prevalentemente al maschile”, su questo si battono sindacati e deputati che oggi si incontreranno dentro e fuori il palazzo della Regione a Palermo, durante la seduta dell’Ars che affronterà il tema della presenza nelle giunte comunali della Sicilia delle donne. “Chiediamo a tutte e tutti uno scatto d’orgoglio legiferando nel rispetto dell’uguaglianza e della democrazia paritaria per gli enti locali e accelerando anche il processo di aggiornamento del sistema elettorale regionale con la previsione della doppia preferenza di genere”.
Un ddl che sta spaccando i partiti della maggioranza e attorno al quale ogni deputato sembra giocare una partita personale. “Oggi assisteremo una pagina di partecipazione politica forte, arriveranno non solo dalla Sicilia ma da tutta Italia donne per aiutare la battaglia delle donne siciliane. Una quota che per le donne in giunta in Sicilia è solo del 20%“. Perché nel resto d’Italia il tetto minimo è del 40%? “Sono convinta che anche i nostri colleghi uomini vorranno riparare a questo scandalo. Non ci fermeremo, domani si comincia una battaglia e dovrà continuare con la doppia preferenza di genere, che dal 2012 è stata rigettata dal Parlamento siciliano“.
“Dobbiamo riprendere questa lotta che non è solo femminile ma della democrazia tutta“.