La “seconda pietra” si conserva, in buono stato per nostra fortuna, poggiata ad una parete dell’atrio del Museo Pepoli, unitamente ad una serie di altre lapidi e pietre di diversa provenienza, relitti o delle antiche mura smantellate nel tempo o di Chiese e palazzi distrutti dai bombardamenti dell’ultima guerra ed anche dopo dalla mano dell’uomo.
Proviene dalla Chiesa di S.Agostino, al centro della città, la cui facciata principale, caratterizzata da un bel portale chiaramontano e da uno splendido rosone coevo, si apre nella piazza detta di Saturno. Quanto rimane della struttura della antica chiesa dimezzata dalle bombe e solo parzialmente ricostruita, unitamente ad un ancor più antico arco a sesto acuto, portale oggi murato del preesistente complesso del Palazzo dei Templari, di cui diremo.
La lapide commemorativa, una lastra di pietra bianca di m.1,16 x m. 0,84, spessa cm.15, incisa a caratteri romani maiuscoli alti 6/8 centimetri, colorati di nero, secondo le testimonianze cittadine di più epoche, era posta sotto il pulpito della Chiesa e non vi è dubbio che, pur formalmente riferita alla sacralità di quel luogo, sia stata incisa in occasione della visita dell’Imperatore, evento miliare nella storia, pur densa di importanti avvenimenti, della Città di Trapani.
Leggiamola insieme:
“Deo Optimo Maximo – Divoque Augustino Sacra Illustrissimi Senatu(^)s Drepanitani pervetusta Domus;
“Antichissima sede dell’illustrissimo Senato trapanese consacrata a Dio Onnipotente e a Sant’Agostino;
La scelta del luogo non è elemento secondario o scontato per quell’episodio. A Trapani i Re posseggono da sempre una loro Chiesa, San Domenico, Cappella Regia, luogo delle cerimonie reali, messe, funerali, veglie, sepolture riferite a membri della famiglia regali o a loro consanguinei si sono sempre lì svolte, e per il più potente tra i Re che sia mai stato in città sarebbe stato logico scegliere la Chiesa di San Domenico quale sito per ricevere l’omaggio della città.
La scelta di Sant’Agostino, Chiesa del Senato trapanese, ribalta l’ottica, evidentemente per volontà del Re. E’ Carlo che si reca nel luogo sacro alle Istituzioni Trapanesi, e lo stesso estensore dello scritto inciso sulla lapide ritiene di doverne sottolineare questa sacralità, a cavallo tra il civico ed il religioso, citandone a conferma prima la appartenenza – il concetto di “Domus” è un concetto strettamente proprietario” e poi alcune emblematiche funzioni che quel sito è deputato ad ospitare.
L’appellativo “pervetusta” – antichissima – contribuisce ad accrescere la sacralità del luogo, legittimandola con la sua storicità.
La Chiesa di S.Agostino fa parte da sempre del tessuto urbano trapanese, ricompresa entro la più antica cinta muraria che raccoglieva la città arabo-normanna, era originariamente un palazzo nobiliare che, durante il florido periodo dei traffici legati alle Crociate, fu dal suo proprietario “Beccadelli” donato all’ordine dei Templari alla fine del XII secolo. L’Ordine dei Templari lo adibì a suo “Ospizio” e vi costruì una Chiesa dedicata a San Giovanni Battista, protettore dell’Ordine stesso. Tragicamente finito quell’Ordine nel 1315 e disperse le sue immense proprietà, il complesso venne acquisito dalla Municipalità trapanese che ne fece, appunto, la sua “domus”.
E’ quindi la casa del Senato di Trapani:
– “Ubi” – dove
– “Concilia Maiora cogit” – convoca i più importanti consessi civici –
– “Disputationes Examine Medicos approbat” – autorizza lo svolgimento in città della professione di medico, avendo ascoltato le discussioni dei dottori; potremmo dire in termini accademici che qui si rilasciano le abilitazioni alla professione medica. Poche altre città potevano vantare a quel tempo una così alta qualità del servizio sanitario ed una scuola medica universalmente riconosciuta. Non è da escludere che la scelta di Carlo V di approdare a Trapani sia stata anche indotta dalla opportunità di poter qui usufruire dell’uso del famoso ospedale di Trapani e della riconosciuta abilità dei suoi clinici per l’assistenza ai soldati ed ai profughi cristiani. Cosa della quale diede comunque ampio riconoscimento alla città di Trapani. (Vedi il nostro precedente articolo : Un Imperatore in Città)
“auditque Senatus idem Quadragesimae Conciones” – il Senato vi ascolta le prediche quaresimali.
La sottolineatura di questo pratica religiosa che si svolgeva all’interno della Chiesa di Sant’Agostino non è casuale.
Con un gioco di parole potremmo affermare che qui “lapidariamente” si sancisce che questo è il luogo delle più importanti funzioni civiche – le adunanze -, delle più importanti funzioni sociali – la tutela della salute -, dei più significativi appuntamenti religiosi – le prediche quaresimali -.
Non dobbiamo dimenticare che, al di là della sempre grande influenza che la Chiesa anche dopo il Medio Evo esercitava sulla vita istituzionale di tutti gli Stati, la Sicilia era formalmente un feudo della Chiesa, ed i Re di Sicilia la governavano sin dalla conquista normanna in forza della “Apostolica Legatia”.
Qui vengono rammentati a conforto della importanza del luogo nella vita cittadina i momenti dell’ascolto, quasi a sottolineare come Sant’Agostino fosse principalmente il tempio della parola, sia come civico confronto, sia come discussione a fini di utilità collettiva, sia come elevazione dello spirito.
In quell’epoca solo alcune città evolute avevano costruito forme autonome ed originali di autogoverno, città quasi tutte cresciute nel mare, come Venezia e Genova, come Trapani e Messina in Sicilia, anche se qui pur sempre ricomprese in una superiore sovranità.
Ed ora veniamo all’episodio movente della iscrizione:
“ac ubi Tunete expugnata(^) Siciliam adveniens Maximus Caesaru(~) CAROLUS Quint(o)”
“e qui Carlo Quinto, il più grande tra i Cesari, arrivando in Sicilia dopo aver espugnato Tunisi” (per i dettagli di questa impresa vedi il un precedente articolo)
quell'”ac” – “e” – non è una semplice congiunzione grammaticale, ma una congiunzione storica, indica come solo in quel luogo poteva svolgersi un evento, sì di eccezionale importanza, ma comunque ricompreso nel solco della dinamica storica della città. Luogo solenne ieri, oggi, domani. Si legge altresì in quel “Siciliam adveniens Maximus Caesar(~)” tutto l’orgoglio della scelta fatta da Carlo Quinto di imprimere la sua prima impronta in Sicilia a Trapani.
“anathema Victoriae Purpura(~) appendit” : depose la Porpora quale devota offerta per la Vittoria.
Questa è una notizia! Alcuni cronisti trapanesi avevano parlato del dono di una “clamide” fatto alla Chiesa di Sant’Agostino, ma la mancanza della materialità aveva nei secoli disperso la memoria di quel fatto, e forse anche messa in dubbio la sua stessa veridicità. D’altronde una veste è cosa molto più deperibile nel tempo di quanto non lo siano gli oggetti di pietra o di legno e ferro che nei precedenti articoli abbiamo dimostrato essere, dopo cinquecento anni, ancora al loro posto.
L’iscrizione sancisce la veridicità del dono. Se non fosse stato vero si sarebbe omesso o sarebbe stato riferito qualche altro particolare di quella solenne cerimonia.
Sulla purpurea clamide il dibattito è aperto. A chi apparteneva?
Era la rossa veste imperiale orlata d’oro che Carlo soleva indossare sotto la corazza (quindi un suo personalissimo omaggio) o era la rossa tunica strappata a Mulcasse, Re della Tunisi espugnata, come afferma in uno scritto edito a Palermo nel 1750 lo storico Carlo Maria Galizia?
Qualunque possa nel particolare essere la non facilmente dimostrabile verità, questo dono “anathema Victoriae” ha un grande valore simbolico. E’ il ringraziamento per la Vittoria ottenuta sugli Infedeli, per la liberazione dei ventimila ostaggi cristiani, per la liberazione del mare dai pirati turchi, per la protezione concessa dalla divina Provvidenza all’impresa ed anche in occasione del viaggio di ritorno.
E la clamide, così come ogni altro trofeo, viene lasciata in dono al popolo di Trapani. Che fine ha fatto? Assieme ad altro ne parleremo in un prossimo articolo.
“VERBIS HOMINIS MDXXXV”
L’anno dell’Incarnazione 1535.