Alle prime luci dell’alba, la Squadra Mobile della Questura di Palermo ha eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto, aggravato dalle modalità mafiose, emesso dalla Procura della Repubblica Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, a carico di quattro malviventi palermitani.
L’accusa è di aver partecipato al commando, avvenuto lo scorso 23 marzo allo Zen, in Filippo Patti, che ha fatto fuoco contro Colombo Giuseppe e i figli Antonio e Fabrizio, lasciando sul selciato una decina di colpi, tra proiettili e bossoli.
Gli arrestati sono ritenuti complici dei fratelli Letterio e Pietro Maranzano, già arrestati la notte successiva alla sparatoria , sopposti anche loro al fermo di indiziato di delitto.
Gli investigatori hanno fatto luce su una vera e propria faida fra i due clan familiari, i Colombo e Maranzano, per il controllo dello Zen. A squarciare il muro di omertà è stata una donna che ha permesso di mettere fine alla guerra che si era scatenata tra le due famiglie. Dopo l’arresto di Giuseppe Cusimano, ritenuto il nuovo boss del quartiere, la convivenza tra i due gruppi sarebbe diventata insostenibile. Fino all’epilogo che non si è trasformato in una strage solo per alcune coincidenze.
Mentre i Maranzano preparavano il raid contro i Colombo, la donna ha chiamato il 112 e ha raccontato che i Maranzano stavano preparando un agguato, implorando le forze dell’ordine di intervenire.
“Vi prego, stanno per succedere cose gravissime allo Zen”, ha detto la donna alla polizia.
A sparare sarebbero stati Litterio Maranzano e suo fratello Pietro, che la scorsa settimana sono stati fermati dagli investigatori della squadra mobile. La “donna coraggio dello Zen”, una familiare dei Colombo, adesso è sotto protezione dello Stato. Ha fatto i nomi dei responsabili del tentato omicidio e ha spiegato anche il movente del raid, scattato dopo una lite.
Tutti i dettagli dell’operazione sono stati forniti nel corso di una conferenza stampa in seno al complesso monumentale Sant’Elisabetta, adiacente gli uffici della squadra mobile.
Già nei giorni scorsi, durante le prime ore del pomeriggio, sulla linea 112 NUE sono pervenute diverse segnalazioni di colpi di pistola allo Zen. Poco dopo, al Pronto Soccorso dell’Ospedale “Villa Sofia”, sono giunti Colombo Giuseppe ed il figlio Antonio con diverse ferite di colpi d’arma da fuoco, trasportati in auto dall’altro figlio Fabrizio, scampato miracolosamente all’agguato.
Sul posto è accorsa la Squadra Mobile diretta da Rodolfo Ruperti, gli agenti hanno repertato quello che restava dell’assalto armato appena consumato. Le prime investigazioni avvenute a poche ore dal delitto, coordinate dal Procuratore della Repubblica Francesco Lo Voi e dal Procuratore Aggiunto Salvatore De Luca, hanno fatto luce circa la partecipazione di alcuni responsabili del ferimento a danno dei congiunti Colombo e secondo il quadro indiziario, i fratelli Letterio e Pietro Maranzano sono stati individuati come artefici del tentato omicidio di Colombo Giuseppe e del figlio Antonio.
Il fratello maggiore Letterio non era nuovo agli inquirenti perché ritenuto organico alle famiglie mafiose dello Zen, inoltre già gravato da precedenti penali per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Ulteriori sviluppi delle indagini hanno evidenziato che l’attentato e il ferimento ai Colombo sono il frutto di una serie di vecchi rancori che hanno trovato l’occasione di una repentina accelerazione nel corso della mattina precedente, quando le vittime avevano avuto una banale, ma accesa, discussione con un gruppo di persone capeggiate dai fratelli Maranzano. E ad avere la peggio i Colombo che da lì a poco sono divenuti il bersaglio di un commando armato, di cui i Maranzano sono stati parte attiva, insieme ad una decina di complici.
“Un fatto molto grave per le modalità dell’azione– afferma il comandante Ruperti- un episodio cruento e dimostrativo nella sua efferatezza. Le indagini sono state coordinate da subito dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Stanotte, dopo aver cinturato tutto lo Zen abbiamo eseguito l’operazione. Doveva essere un segnale di forza nel quartiere, mandando avanti una presenza di uomini elevata, non solo nei confronti delle vittime, che erano i Colombo, ma anche nei confronti dello stesso quartiere, altrimenti non si realizza in questi termini un agguato, anche per quelle che possono essere considerate le parti avverse che sono le forze dell’ordine”.
“Un’azione dimostrativa e di forza che doveva incutere quel timore necessario nelle le vittime che poi non si sarebbero potute, come è avvenuto, rivolgere alle forze dell’ordine per denunciare i responsabili dell’agguato nei loro confronti”, conclude Ruperti.