Lo spirito irriverente di Antani non poteva non notare Makuta, un fumetto politicamente scorretto di Peppe Denaro, con la prefazione di Diego Fusaro ed edito da Libridine. La casa editrice si impegna dal 2003 a pubblicare volumi che tendono a fare conoscere e valorizzare autori siciliani, storie ed eventi quali il ritrovamento del satiro danzante, Tommaso l’omucani o l’ipotetico Ettore Majorana, e, di recente, un volume su eventi e personaggi siciliani poco conosciuti al grande pubblico.
Ma allora qual è la peculiarità di questo fumetto? Quella di non essere un fumetto. Il suo autore, Peppe Denaro ci tiene a precisarlo: egli si rifà agli Emblemata di epoca moderna, nati in Germania nel XVI secolo e tipici di una tradizione prettamente rinascimentale (a differenza di quelli dell’antichità, costituiti da piccoli pezzi di mosaico), che si presentano con immagini accompagnate da aforismi, che in Makuta sono anche freddure o taglienti sentenze. Siamo lontani anche dalla satira politica: per l’autore sarebbe qualcosa di passeggero, da relegare a un momento preciso, da considerarsi obsoleto dopo qualche anno. I personaggi raffigurati sono quattro, una vera e propria tetrade di individui stilizzati e corrosi nei volti e nelle figure, caricaturali quasi per il disincanto e la rabbia, stemperata però da un intelligente sarcasmo: Caino è un prete considerato ormai eretico dalla Chiesa corrotta; Faretta è il vampiro che crede ancora nell’amore romantico e non può riscontrarlo nella gente ossessionata dal consumismo; Muffa è un detenuto all’ergastolo perché voleva che la banca gli restituisse la casa di sua proprietà precedentemente confiscatagli; in ultimo, Makuta (che dà il nome all’intera opera) è l’artista, alter ego di Denaro che, non a caso, sceglie questo nome. Makuta era infatti il plurale della parola “denaro” nell’ex Stato dello Zaire e richiama esplicitamente il cognome dell’autore. Makuta è dunque l’artista che avverte la mancanza di spiritualità nell’arte a lui contemporanea. Da un’analisi complessiva, questi quattro personaggi risultano essere degli uomini del nostro tempo, provenienti da diversi strati della società. Sarebbero un po’ come i tre moschettieri e D’artagnan della modernità (to’, c’è anche il prete), dove Makuta è come l’ultimo arrivato: l’artista lo è sempre, in qualche modo, l’eterno apprendista di questo teatro che è il mondo. È armato però, come gli altri e forse più degli altri di vis polemica, di un suo modo di vedere e interpretare le cose, senza gli infingimenti della società dei buoni e buonisti a tutti i costi.
“Astenersi dal giudicare è il peggior atto di superbia”, dice Caino, il prete.
“Il nuovo totalitarismo neoliberista fa credere alle masse di essere libere come i pesci nel mare, mentre, in realtà nuotano in un acquario”, dice Muffa. E ancora Makuta: “Applaudire a ogni costo è il primo passo per l’omologazione”.
Ecco, ha ragione Denaro: questa non è satira, soprattutto non è satira politica, quanto una sorta di “rasoio a sfondo sociologico”, dove due prototipi umani vengono presi di mira. Sono apparentemente opposti: da una parte, il tipo credulone che vive perfettamente inserito nella realtà massificata della società dei consumi; dall’altra, il radical chic, vittima anch’egli di un’altra forma di omologazione, nonostante faccia di tutto per apparire originale, controcorrente e antagonista. Questa riflessione mi porta alla memoria dei versi del poeta Sandro Penna: “Felice chi è diverso/ essendo egli diverso. / Ma guai a chi è diverso/ essendo egli comune”.
Però facciamo attenzione e guardiamoci un attimo dentro: siamo noi quei quattro personaggi, i cani sciolti, indipendenti dalle lobby, abbrutiti da cose incomprensibili da pagare e scontare, feriti dall’omologazione qualunque colore indossi. Siamo noi, la gente onesta segnata da vicissitudini di un quotidiano che è come un romanzo scritto male. Forse sognavamo di essere i moschettieri del re e invece siamo semplicemente Caino, Faretta, Muffa e Makuta. Antani, con la sua carica corrosiva e pronta ad accogliere sempre ciò che non si presenti ingessato, artefatto e ortodosso, vi consiglia caldamente questo fumetto che non è un fumetto, con una decisione ferma per quanto la fermezza sia possibile, divagando tra una supercazzola e un’altra.