Due magistrati antimafia sono a processo su richiesta della Procura di Caltanissetta per rivelazione di segreto d’ufficio.
I fatti si riferiscono alle indagini sulla cattura del latitante di mafia Matteo Messina Denaro, originario di Castelvetrano (Trapani) e ricercato dal 1993. Si tratta di due fascicoli differenti, il primo aperto nel 2016 e l’altro nel 2017. Entrambi i procedimenti sono già al vaglio dei giudici del Tribunale nisseno: a fine gennaio uno dei due magistrati sarà processato con il rito abbreviato condizionato. Per l’altro la Procura di Caltanissetta aveva chiesto l’archiviazione ma alcuni giorni fa il gip ha disposto l’imputazione coatta.
I due magistrati accusati di rivelazione del segreto d’ufficio – apprende l’AGI da fonti qualificate – sono Maria Teresa Principato e Marcello Viola, all’epoca rispettivamente procuratore aggiunto di Palermo e procuratore capo di Trapani. In entrambi i procedimenti è imputato anche un appuntato di polizia giudiziaria della Guardia di Finanza, all’epoca applicato alla segreteria della Principato.
I fatti risalgono al 2015 e le indagini sono rimaste top secret per oltre un anno.
I due magistrati all’epoca conducevano le indagini per la cattura del latitante Messina Denaro: la Principato (adesso applicata alla Direzione nazionale antimafia) in virtù dell’appartenenza alla Dda di Palermo con delega al territorio trapanese e titolare del pool di ricerca del capomafia; Viola (ora procuratore generale a Firenze) perché a capo della Procura di Trapani.
Il finanziere lavorava col procuratore aggiunto Principato e durante l’indagine sulla rivelazione di segreto d’ufficio gli inquirenti avrebbero indizi su un passaggio di atti coperti da segreto investigativo dalla Principato a Viola, attraverso una pen drive veicolata proprio dal militare. Inizialmente l’ipotesi di reato comprendeva anche l’aggravante di aver favorito la mafia che poi è caduta.
Matteo Messina Denaro, classe ’62, figlio del boss Francesco morto tanti anni fa, è l’ultimo latitante importante di Cosa nostra, ricercato dal ’93 e dal ’94 anche in ”campo internazionale” per mafia, stragi e omicidi. Negli ultimi 20 anni numerose operazioni antimafia, molte coordinate da Principato, hanno fatto terra bruciata tra amici e parenti di Messina Denaro, con arresti e sequestri di beni, e nelle parole di magistrati e investigatori è emerso sempre che il mafioso era un boss tra i boss e che dopo la caduta di Riina e Provenzano era lui a tirare le file della mafia.
Intanto il latitante da anni non paga più avvocati per assisterlo nei diversi processi, non lascia un segno diretto della sua attività criminale, non c’è una intercettazione in cui si senta la sua voce. E’ stato anche ipotizzato dagli investigatori che fosse morto.
L’ultima prova tangibile della sua esistenza risale al 1995 quando Francesca Alagna partorì la presunta figlia del mafioso. Sei giorni fa il questore di Palermo, Renato Cortese, l’uomo che arrestò il boss dei boss Provenzano, disse che Matteo Messina Denaro ”non avrebbe un ruolo in Cosa nostra, non detta le strategie criminali, forse è latitante all’estero e non ha contatti con le cosche”.
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