Il “cioccolato di Modica”, pochi mesi fa, ha ottenuto dall’Unione Europea l’Igp (Indicazione geografica protetta), diventando il primo cioccolato a ricevere tale riconoscimento, un traguardo prestigioso, figlio della maestria e della tradizione di cui si nutrono i cioccolatieri modicani.
Infatti, la storia del cioccolato di Modica è lunga tre secoli, un arco di tempo nel quale la lavorazione artigianale è rimasta fedele al passato, mantenendo così immutata la qualità del prodotto e non è un caso se questo è riuscito ad ottenere importanti successi: per esempio, è stato inserito tra le migliori 80 qualità di cioccolato al mondo.
Il cioccolato di Modica è particolare perchè è privo di burro di cacao oltre a quello contenuto nelle fave e soprattutto, perché la lavorazione non supera la temperatura di 45 gradi e fa sì che lo zucchero non si sciolga, conferendo al prodotto la classica consistenza ruvida e granulosa.
La storia del cioccolato di Modica
Vediamo, da più vicino, quali sono state le vicende che hanno permesso a questo straordinario prodotto della pasticceria siciliana di giungere sino a noi.
Tutto sarebbe iniziato quando il maestro cioccolatiere Andrea Lo Castro, uno dei fondatori della Maestranza dei cioccolatieri di Palermo nel 1723, venne designato dal principe Enrico Grimaldi di Modica come “cioccolataro” di sua fiducia.
In questi anni, la cioccolata diventò una delle bevande preferite dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, nonché dell’alto clero di tutta Europa, pertanto la lavorazione del cioccolato si perfezionò e nacquero le prime “Maestranze” che imposero norme severe sulla qualità dei prodotti da utilizzare, sulle tecniche di produzione da adottare e sulla durata del tirocinio per diventare un mastro cioccolatiere.
Andrea Lo Castro e il figlio Angelo, oltre a garantire l’approvvigionamento di cacao e spezie ai principi Grimaldi, insegnarono nella città iblea, i segreti della lavorazione della “pasta amara”, cioè del cioccolato.
A Modica la “cultura” del cioccolato entrò anche in ambiente monacale, infatti, per esempio, nel “Libro degli Esiti” del monastero di San Benedetto è possibile individuare tra le voci di spesa pure quella relativa alla “pasta amara”, segno evidente che neppure le monache riuscivano a farne a meno.
Addirittura, alcune di esse riuscirono ad abbandonare la vita religiosa, avanzando come propria ragione, la mancanza di cacao in monastero ma probabilmente, in molti casi, fu una scusa per liberarsi dalle catene di una vita monacale imposta da altri.
È il caso delle monache di clausura Antonia e Raffaella Lanteri, che nel 1787 vennero sciolte dai loro voti con un provvedimento del vescovo di Siracusa poiché la propria badessa non aveva garantito loro il rifornimento “delle necessarie provvisioni di cioccolatte, caffè e zuccaro”.
Nel XIX secolo, si affermò nel mondo degli affari una classe imprenditoriale di origine borghese molto ambiziosa, che rese molti consumi più “democratici” coinvolgendo anche la classe media urbana nella fruizione di quei prodotti, tra cui il cioccolato, che fino a quel momento erano riservati soltanto alle élite sociali.
A Modica, nel campo della “pasta amara”, fu la famiglia Bonajuto ad operare in tale direzione.
Nei primi dell’Ottocento, durante la Restaurazione, Francesco Ignazio Bonajuto aprì una sorbetteria nel cuore della città iblea.
La svolta più importante avvenne con Federico Bonajuto, il figlio, che a partire dalla metà del secolo divenne un cultore, non soltanto della lavorazione del cacao e delle sue applicazioni in ambito culinario ma anche un profondo conoscitore dei suoi usi farmaceutici.
Infatti, all’epoca, si riteneva che il cioccolato potesse essere il rimedio di un’infinità di malanni: per esempio, si riteneva che fosse un ottimo espettorante per il catarro, un efficace afrodisiaco in grado di risvegliare il desiderio sessuale o che fosse un cosmetico con effetti benefici per la pelle.
In piena “Belle époque”, Francesco Bonajuto aprì il “Caffè Roma”, dove oltre a vendere numerose leccornie dolciarie tipiche del territorio, proponeva ai suoi clienti anche le “barrette” di cioccolato, realizzate secondo la lavorazione artigianale tradizionale, in un periodo nel quale il mondo si stava sempre più meccanizzando e l’industria imponeva la logica della produzione e dei profitti.
Nel 1932, dopo la morte di Francesco, il “Caffè Roma” fu ereditato dalla famiglia Ruta che ne è tutt’oggi proprietaria, rimanendo fedele alla lavorazione tradizionale ma allo stesso tempo riuscendo ad innovare: infatti, vengono proposti una quarantina di gusti, da quelli più tradizionali a quelli più innovativi come la “barretta” al peperoncino, al sale di Mozia, alla noce moscata o alle essenze di limone e arancia.
Oggi sono circa 40 le aziende che producono il “Cioccolato di Modica”, di cui 25 fanno parte del “Consorzio di tutela” che si pone il compito di valorizzare e controllare la qualità di un prodotto pregiato, esportato ormai in tutto il mondo.
Un prodotto unico e straordinario, ben ancorato alla memoria e al passato ma proprio per questo motivo in grado di sapersi muovere con consapevolezza e lungimiranza verso il futuro.