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“I chicchi si aggiungono ai chicchi e poi un giorno si compie il mucchio“: dal ticchettio iniziale, lento e continuo, che apre “Finale di partita“, in scena al Teatro Biondo di Palermo (sala Grande) per la regia di Andrea Baracco, ben si evince che quello a cui assisteremo è sì la battuta finale, metaforica, di una partita che, prima o poi, toccherà a tutti giocare.
Scritto da Samuel Beckett nel 1956, uno dei testi più apprezzati del Novecento, Finale di partita andò in scena, in francese, in prima mondiale al Royal Court di Londra nell’aprile del 1957.
In Italia fu messo in scena per la prima volta l’anno successivo da Andrea Camilleri.
“Più si è grandi e più si è vuoti“: recita un immenso Glauco Mauri nei panni di Hamm, nella partita della vita giocata, sul finale appunto, in scena con un bravo Roberto Sturno, che è Clov; e Marcella Favilla, nel ruolo di Nell, e Marco Blanchi nei panni di Nagg (costumi di Marta Crisolini Malatesta).
Nello spazio claustrofobico di una stanza-rifugio post-atomico nuda, come in una pseudo partita a scacchi, si muovono i personaggi agendo le ultime mosse della parabola dell’esistenza.
E Beckett è, fuor di dubbio, un maestro nell’instillare, qua e là, spunti di riflessione sull’assurdità della vita e dell’essere.
Gli aspetti dolenti toccati dal testo teatrale affondano nei terreni, altrettanto dolenti, della solitudine e delle possibili forme di libertà individuale, non sempre conquistate.
“Tutta la vita le stesse domande, le stesse risposte… Perché questa commedia tutti i giorni?… È tutto vuoto“: non sembra esserci scampo per l’Uomo, ieri come oggi perché Finale di partita è di una modernità tagliente.
L’interrogativo che domina, forse il vero battitore libero dell’incontro scontro del vivere, sta tutto, a nostro avviso, qui: “Può darsi che noi siamo qui per un significato?… Trova un sistema, un’idea luminosa…”.
La trama
Hamm è cieco e su una sedia a rotelle, i suoi genitori Nagg e Nell sono senza gambe e chiusi in due contenitori per la spazzatura; e il suo servitore Clov non può sedersi mai. Hamm e Clov per sopravvivere hanno bisogno l’uno dell’altro: solo Clov può dar da mangiare ad Ham, ma solo Ham possiede le chiavi della dispensa.
Luce e ombra, ricerca dell’una e/o dell’altra, sono le dimensioni sui cui si muovono tutti i personaggi, vittime e carnefici reciproci e, a tratti, consapevoli, nel garbuglio di riflessioni che, con l’apporto di un’efficace trama musicale, che è ne substrato attivo (Giacomo Vezzani), appartengono agli attori ma anche allo spettatore.
È un’atmosfera di rarefatto artificio quella che avvolge il pubblico del Biondo, raramente così attento e coinvolto; che è poi il traguardo che solo il Teatro, di un certo livello, riesce a raggiungere. Finale di partita è teatro nel teatro, vita nel teatro e, dunque, “esperienza di vita“.
La tragedia del vivere che diventa farsa, la farsa del vivere che diventa tragedia dove “si piange per non ridere, ma poi arriva la vera tristezza“.
Lo spettacolo, che replicherà fino a domenica 1 dicembre, è prodotto dalla Compagnia Mauri-Sturno.
- Foto di scena di Manuela Giusto.