Guai a criticare gli stipendi troppo alti dei colletti bianchi dell’Ars. Si parla, è vero, di tetti a queste retribuzioni, ma pare che uno non possa esprimere un’opinione difforme perché quando questo avviene, ecco che piovono critiche.
Almeno, è quello che rileviamo dopo aver letto la lettera che il segretario generale dell’Ars Fabrizio Scimè, ha rivolto a padre Cosimo Scordato, uno dei sacerdoti che è intervenuto sulla vicenda dei tetti agli stipendi dell’Ars, stigmatizzando le cifre alte percepite dai dirigenti in un periodo di crisi e di aumento della povertà.
Apriti cielo, Scimè nella sua missiva parla di un “pubblico processo condotto a mezzo stampa, una specie di mediatico autodafé” in cui gli uffici dell’Ars risulterebbero, a suo dire “colpevoli di non fare mai abbastanza”. aggiungendo che “è necessaria maggiore cautela nell’affrontare questo argomento”.
Cautela dovuta a cosa? Chiediamo noi… Che tipo di messaggio vuol fare passare il segretario generale dell’Ars? Come dovrebbe essere affrontato questo argomento in modo cauto? A voi lettori, le conclusioni…
“Non ho il piacere di conoscerla – scrive Scimè parlando di Padre Scordato – ma so che lei è impegnato, in uno dei quartieri più poveri e difficili di Palermo, in una meritoria opera di lotta alla povertà. Capisco quindi bene il motivo per cui lei ha deciso di dedicare la sua attenzione alla vicenda che riguarda gli stipendi dei dipendenti dell’Assemblea”. “Mi rendo ben conto – prosegue – dello stridente contrasto tra la povertà che lei sperimenta ogni giorno e la ricchezza del Palazzo. E con me se ne rendono conto i dipendenti dell’ Assemblea, tanto che proprio in questi giorni siamo impegnati in una delicata trattativa per introdurre nuovi limiti stipendiali. Capisco che lei, per il ruolo che svolge, possa e debba invitare tutti noi al senso di responsabilità”.
Fin qui la premessa, ma poi la stoccata polemica e alquanto infastidita verso chi evidentemente non si fa i fatti propri: “Non capisco invece come lei pensi di poter intervenire, come leggo su Repubblica di ieri, nel merito di una materia estremamente tecnica e complessa”.
Una presa di posizione, quella del segretario generale del parlamento siciliano, che suona come una nota stonata. Molto stonata… Come se un cittadino, peraltro un sacerdote impegnato nel sociale, dovesse limitarsi al silenzio (o magari a dire messa?), facendosi passare sopra la testa stipendi d’oro e privilegi, per giunta senza batter ciglio.
”Devo confessarle – aggiunge il segretario dell’Ars – e non in segreto, che sono rimasto sconcertato. Addirittura lei pensa, a quanto leggo, di convocare una pubblica adunanza in cui esaminare i contenuti del nostro contratto di lavoro e proporre modifiche. Capisco che la questione è oggetto di pubblica discussione e di dibattito politico, però a ciascuno il suo mestiere, e quello, noioso, della disciplina dei contratti di lavoro, con i possibili strascichi giudiziari, spetta agli uffici legali. E questo è proprio quello che stiamo facendo”.
Che dire poi di Gianfranco Micciché? Il presidente dell’Ars si rivolge pure lui al sacerdote e afferma “vorrei ricordarle che qui non scherza nessuno e che ci sono persone che si stanno riducendo le retribuzioni autonomamente, senza alcuna legge che lo imponga”. Sì, l’Ars… proprio un esempio virtuoso… Non c’è che dire!
Ecco, aggiungiamo noi, se padre Cosimo Scordato dovesse convocare un’assemblea pubblica per condannare l’evidente sperequazione fra gli stipendi di pochi – a nostro parere altissimi e intollerabili – e la povertà di tanti, quel giorno saremo in prima fila per documentarla e amplificarne il contenuto.