Tra la fine del Quattrocento e il Seicento si stabilì uno scambio artistico unico che conduce oggi alla realizzazione della mostra “Sicilië, pittura fiamminga“, in esposizione a Palazzo Reale fino al 28 maggio, a cura di Vincenzo Abbate, Gaetano Bongiovanni e Maddalena De Luca.
Ammirando le 52 opere, tra le quali spicca come protagonista “Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto“, tavoletta custodita al Convento dei Cappuccini di Palermo e svelata dopo decenni di oblio, appare evidente l’influenza tra i pittori fiamminghi e quelli italiani.
I primi, infatti, hanno appreso la prospettiva e la rappresentazione dello spazio, mentre gli italiani hanno appreso la pittura ad olio, la posa di tre quarti e l’uso delle velature.
Le opere fiamminghe più antiche, più di tutto tavolette di piccole e medie dimensioni, a destinazione privata e spesso con finalità devozionale, giungono in Sicilia direttamente dalle Fiandre, ripercorrendo le rotte dei principali scali mediterranei dei traffici e del commercio, come Genova e Napoli, definendo in modo inequivocabile la centralità della nostra terra nel sistema economico dell’Europa d’Ancien Régime.
Ancora un dettaglio, infine, lega la pittura fiamminga e la Sicilia ovvero l’utilizzo che i pittori delle Fiandre facevano dei colori ad olio, che conferivano al dipinto una nitidezza estrema e una resa ottimale della luce atmosferica; quasi a rimandare agli ambienti e ai paesaggi italiani e siciliani di quello scorcio del Seicento.
Una concezione pittorica che ebbe notevole riscontro sia in ambito religioso che aristocratico. Proprio per le dimensioni assai ridotte delle opere, come le singole tavole o i trittici, si registra un alto numero di queste introdotte in Sicilia, e molte di esse restano ancora tra le suppellettili di famiglie nobili, trasmessi di padre in figlio.
La presenza nell’Isola di artisti venuti dalle Fiandre, tuttavia, non sembra, stando alle analisi più recenti, avere avuto un’influenza sulla pittura siciliana tale quanto quella del continente per l’innegabile affinità etnica.
L’alto numero, quindi, di dipinti e opere fiamminghe conservate deve considerarsi una merce di lusso, molto ricercata in quei due secoli, ma che rimase estranea al movimento artistico siciliano, se non per uno scambio di elementi puramente formali.
La mostra, promossa dalla Fondazione Federico II e dall’assessorato regionale ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana, fa parte del programma di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018.
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