Dal politico all’avvocato, dal giornalista all’imprenditore. Antonello Montante avrebbe voluto conoscere il ”nemico” o comunque le persone con cui aveva a che fare e per questo attraverso Diego Di Simone, ex sostituto commissario della squadra mobile di Palermo avrebbe fatto fare a Giuseppe Graceffa, vice sovrintendente della polizia in servizio a Palermo, le interrogazioni alla banca dati della forze di polizia Sistema d’indagine (Sdi).
Sono decine i profili richiesti: da Alfonso Cicero, che era alla guida dell’Istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive, a Davide Durante, ex presidente di Confidustria Trapani, da Gioacchino Genchi ex poliziotto e legale di Pietro Di Vincenzo, imprenditore condannato per estorsione e cessione fittizia di beni, dall’ex senatore Pd Vladimiro Crisafulli all’attuale assessore all’Economia e avvocato Gaetano Armao. L’elenco è lunghissimo: ci sono i collaboratori di giustizia Carmelo Barbieri, Pietro Riggi e Aldo Riggi, l’ex presidente del consorzio Asi di Caltanissetta Umberto Cortese, l’ex direttore di Confindustria nissena Tullio Giarratano, l’ex assessore regionale Nicolò Marino e i suoi figli, i giornalisti Giampiero Casagni e Attilio Bolzoni. Secondo il gip Montante ”voleva acquisire informazioni su persone che hanno rivestito un ruolo politico di ambito regionale e che erano entrate in rotta di collisione con lui e col sistema confindustriale che rappresenta in relazione alle più svariate vicende”.
Inoltre, dall’ordinanza del Gip è emerso che il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, ex capocentro della Dia di Palermo tornato all’Arma dopo un periodo nei Servizi, si interessò alla questione relativa a una possibile duplicazione delle intercettazioni tra l’ex senatore Nicola Mancino e l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano effettuate nell’ambito del processo Stato-mafia.
Di quelle intercettazioni si parlò a lungo tra il 2012 e il 2013, quando il caso finì di fronte alla Corte Costituzionale che ne dispose la distruzione, e poi nel novembre 2015, quando il ministero della Giustizia dispose un’ispezione proprio per verificare che non vi fossero state omissioni o irregolarità.
L’ordinanza si focalizza su quest’ultima fase, e in particolare sulla “questione che aveva ingenerato nel D’Agata una certa preoccupazione e che riguardava la richiesta giunta alla Dda di Palermo da ambienti del Ministero della Giustizia tesa ad escludere che le intercettazioni” “potessero essere state in qualche maniera duplicate“. Preoccupazioni emerse anche a seguito di articoli di stampa e che furono oggetto di commenti nelle conversazioni tra D’Agata e la moglie, intercettate a fine 2015 dai magistrati di Caltanissetta.
D’Agata continuò a interessarsi della vicenda a inizio 2016, chiedendo informazioni a esponenti della Dia e poi discutendone direttamente con l’ex direttore dell’Aisi Arturo Esposito, anch’egli indagato, “il quale però – riporta l’ordinanza – non aveva dato alcun peso alla vicenda” e lo aveva poi informato che i progetti relativi al suo futuro lavorativo “non erano cambiati e stavano subendo solo dei ‘rallentamenti‘ “.