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Sono 11 le custodie cautelari

Blitz a Tommaso Natale (PA), in carcere boss ed estortori CLICCA PER IL VIDEO

mercoledì 12 Luglio 2023

In carcere Michele Micalizzi, 73 anni, Gianluca Spanu, 35 anni, Domenico Caviglia, 47 anni, Amedeo Romeo, 47 anni, Rosario Gennaro, 57 anni, Matteo Pandolfo, 47 anni, Giuseppe Micalizzi, 42 anni, Carmelo Cusimano, 48 anni. Ai domiciliari sono finiti Giuseppe Giuda, 49 anni, Francesco Nappa, 37 anni e Vincenzo Garofalo, 37 anni.

I Carabinieri del Nucleo investigativo del Reparto operativo di Palermo hanno notificato 11 ordinanze di custodia cautelare, di cui 8 in carcere e 3 agli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico, nei confronti di boss, alcuni dei quali già detenuti, gregari ed estortori del mandamento mafioso di Tommaso Natale. Le accuse per gli arrestati sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione con l’aggravante del metodo mafioso e tentato omicidio aggravato. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Marzia Sabella.

Si è fatto 20 anni di galera e scarcerato, dopo una breve parentesi a Firenze, è tornato a Palermo al vertice della famiglia mafiosa di Partanna Mondello Michele Micalizzi, coinvolto nell’inchiesta dei carabinieri insieme ad altre 10 persone. Micalizzi, 73 anni, nemico giurato del boss Totò Riina, è il genero dello storico capomafia Rosario Riccobono, assassinato dai corelonesi durante la seconda guerra di mafia. Anni di esperienza nel narcotraffico, rapporti strettissimi con i trafficanti thailandesi, il padrino alla guida del clan si serviva di fedelissimi come Gianluca Spanu e Francesco Adelfio. Micalizzi si muoveva con cautela per sfuggire alle indagini, certo che i carabinieri lo stessero tenendo d’occhio. In una intercettazione con boss Tommaso Inzerillo chiedeva: “Ci ascoltano? Sicuro sei?”. E l’interlocutore gli rispondeva: “Al 99 per cento”. Allora Micalizzi ricordava come i “cugini” mafiosi americani erano riusciti a eludere le “cimici”. “Gli americani erano sofisticati – spiegava – entravano nei negozi si spogliavano, compravano vestiti nuovi, scarpe nuove perché glieli infilavano pure nei tacchi delle scarpe (le microspie ndr) e i vestiti li buttavano e li arrotolavano dentro i sacchi e se ne andavano in campagna a parlare”.

LE INDAGINI:

L’inchiesta dei Carabinieri fa luce sull’organigramma, le dinamiche e gli affari del mandamento mafioso di Tommaso Natale a cui appartengono le “famiglie” di Partanna Mondello, Tommaso Natale e Zen-Pallavicino. La misura cautelare è stata notificata in carcere al vecchio boss Michele Micalizzi, già al vertice del clan e tornato alla guida della cosca dopo aver scontato una condanna a 20 anni. Gli investigatori si sono serviti di tecnologie sofisticate di intercettazione riuscendo, così, a superare le continue cautele messe in atto dagli indagati per sfuggire alle indagini. Ricostruite anche le strutture delle famiglie di Pallavicino-Zen, Partanna Mondello e Tommaso Natale. Gli inquirenti inoltre hanno scoperto i canali attraverso i quali il clan comunicava con le altre cosche, accertato decine di estorsioni, svelato la presenza costante delle “famiglie” nella vita del mandamento. I boss dirimevano liti tra i cittadini e tutelavano gli interessi dei commercianti che pagavano il pizzo in cambio della protezione. Solo due giorni fa la procura di Palermo aveva chiesto e ottenuto dal gip 18 misure cautelari per esponenti del can di Resuttana, mandamento confinante con quello colpito dal blitz di oggi.

Sono decine le estorsioni accertate. Cosa nostra, dunque, continua a ricorrere al racket del pizzo per alimentare le sue casse. Le intercettazioni hanno fatto luce su diversi episodi, molti dei quali a carico di ristoratori delle borgate marinare di Sferracavallo e Mondello, costretti a pagare qualche centinaia di euro o a subire l’imposizione di servizi di vigilanza e delle forniture di pesce e frutti di mare. “Io ci faccio la sicurezza nei chioschetti. Qui comandiamo noi”, diceva un mafioso indagato non sapendo di essere intercettato. La pressione del racket sulle attività economiche, dunque,non accenna ad allentarsi e la mafia continua ad applicare la regola del “pagare tutti per pagare meno” imponendo una tassa inferiore rispetto al passato, ma non risparmiando nessuno.

L’inchiesta ha anche fatto luce su un tentato omicidio. Il mafioso Carmelo Cusimano cercò di uccidere il fratello Anello a coltellate per dissapori familiari. Per ricomporre i dissidi che avevano portato al delitto intervennero le figure più carismatiche del mandamento. E’ la stessa vittima, intercettata mentre incontra in carcere il terzo fratello Giuseppe, reggente del clan dello Zen, a raccontare l’agressione. E il boss detenuto non nasconde la sua rabbia verso il familiare. “Non ho più un fratello che si chiama Carmelo, appena esco lui sarà il primo”, dice facendo intendere propositi di vendetta. La vittima continua nel suo racconto dell’aggressione e riferendo le parole del fratello Carmelo dice: “A te appettavo” e con le mani indica la lunghezza del coltello. Lo stesso autore del gesto, intercettata, ammette tutto: “No, io ci sono andato per ammazzarlo”.

Stava progettando una truffa all’Unione Europea boss Michele Micalizzi. Emerge dalle intercettazioni delle conversazioni tra il capomafia e un altro uomo d’onore storico, Tommaso Inzerillo. “Io conosco una persona a posto – diceva – ed è buona, e ha buone possibilità, diciamo a livello Europeo, per potere approfittare di questi finanziamenti pure per una quota consistente a fondo perduto, però per quanto riguarda, al momento ci sono i bandi e si dovrebbe presentare entro dicembre al massimo nei primi di gennaio, per quanto riguarda l’agricoltura”. Dalla conversazione viene fuori che Micalizzi si appoggiava a un professionista che gli dava consigli sui bandi europei. “Nel meridione e in particolar modo la Sicilia arriviamo all’ottanta, – spiegava – certe volte al novanta per cento, quindi se facciamo una pratica da dieci milioni, otto nove milioni sono a fondo perduto, dice: e poi te li rendiconto io, questo ha l’ufficio a Bruxelles, a Malta”. “Comunque è una persona che è una miniera, sotto certi aspetti, ha grosse possibilità alla banca all’UniCredit”, continuava. E Inzerillo conveniva: “Esatto”.

LE DICHIARAZIONI

“Un plauso alle forze dell’ordine e alla magistratura per l’operazione che oggi ha colpito il mandamento mafioso di Tommaso Natale, a Palermo, e nei giorni scorsi il clan di Resuttana: i mafiosi sono come la gramigna, ricrescono subito nel momento in cui vengono scarcerati, tornando a condizionare l’economia locale e imponendo estorsioni anche attraverso l’obbligo di forniture ai commercianti e agli esercenti. C’è un generale abbassamento della tensione civile contro la mafia e il più delle volte gli imprenditori scelgono di non denunciare, rinunciando a reagire: dobbiamo interrogarci tutti su questo. La sfida è rilanciare l’impegno civile della società contro i mafiosi, per un futuro libero da ogni condizionamento”. Lo ha detto il presidente della commissione regionale Antimafia, Antonello Cracolici, commentando l’operazione ‘Metus’ che ha portato a 11 arresti.Roberto Lagalla

“Il mio ringraziamento e apprezzamento al Comando provinciale dei Carabinieri per l’operazione, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che oggi ha portato all’arresto di 11 soggetti appartenenti alle famiglie mafiose di Partanna Mondello, Zen-Pallavicino e Tommaso Natale. – dichiara il sindaco di Palermo Roberto Lagalla –  Dopo l’operazione della Squadra Mobile di due giorni fa nel quartiere di Resuttana, si tratta di un altro duro colpo inferto alla criminalità organizzata e al racket delle estorsioni che tentano ancora di soffocare il tessuto economico della città, a dimostrazione del massimo impegno della magistratura e delle Forze dell’ordine contro Cosa nostra”.

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