“Bonjour Casimiro”, il libro di Alberto Samonà edito da Rubbettino, che da pochi giorni fa bella mostra di sé nelle vetrine delle nostre librerie, è innanzitutto un esercizio, ben riuscito, di bella scrittura, e questo lo rende già di per sé apprezzabile, visto che la letteratura corrente fa spesso fatica a confrontarsi con le regole della lingua di Dante.
A renderlo pregevole è, inoltre, la perizia con cui, proprio servendosi di quella cifra di scrittura, l’autore è riuscito a costruire surreali atmosfere, popolate da entità fantastiche, nelle quali realtà e sogno appaiono divisi da confini estremamente labili e, perfino, inesistenti. Atmosfere che, ed è anche mia esperienza personale, provocano nel lettore evidenti emozioni e, financo, forti turbamenti.
Il libro è ambientato a Villa Piccolo (o Villa Vina dal nome del ruscello che la lambisce), un luogo particolarmente felice per la sua collocazione fisica; è una terrazza, che si affaccia sulla splendida distesa d’acqua del mare Tirreno, di fronte alla quale si stagliano netti i profili delle leggendarie isole Eolie. Un sito molto bello e particolarmente curato, immerso in una lussureggiante natura ma, anche, un luogo denso di ammalianti suggestioni che sembrano sfuggire alla logica corrente.
Sotto il profilo tecnico il testo si muove su registri narrativi diversi, a tratti infatti assume il rigore del saggio storico-antropologico con una ricostruzione viva e pulsante del mondo dei Piccolo di Calanovella, popolato di aristocratici di raffinata cultura che sembrano contraddire, con le loro sensibilizzazioni con i saperi universali, al tradizionale tanto rozzo che superbo isolazionismo siciliano, a tratti invece, quasi l’hibrys dello scrittore manifestasse insofferenza per i limiti imposti dalla fisicità, felicemente scantona nell’universo fantastico della pura invenzione letteraria, dove tutto è possibile, perfino sfuggire alle ferree leggi dello spazio e del tempo.
Questi, apparentemente, incomponibili registri narrativi si sviluppano su piani i quali, piuttosto che contrapporsi e rompere l’unità narrativa, si sovrappongono e si avvitano fra loro fino a rendere operazione sicuramente ardua lo sforzo di separare il reale dall’irreale, l’immaginario dal concreto, il vero dal falso. Dunque, una costruzione complessa, che vede al centro un incerto protagonista, Giulio -, appassionato cultore di scienze alchemiche – che talora si sdoppia e vive esperienze che infrangono le ferree leggi della ragione. Sperimenta la pluralità delle verità e la incompatibilità delle certezze al punto da dovere accettare il relativo, un relativismo ascetico, come unica via interpretativa possibile del vivere.
Non per niente alla fine si conviene, quasi come banale constatazione, che “le persone credono quel che vogliono credere e vedono quel che vogliono vedere”. Un libro, dunque, molto complesso e interessante che consente all’autore di approfittare della eccentricità della storia dei Calanovella per comunicarci le sue colte riflessioni intellettuali.