La stagione delle riforme portate avanti dalla politica siciliana non gode di salute eccellente. È un fatto noto, consolidato e che gli elettori siciliani, lontano dalle urne perdonano con misericordiosa indulgenza si signori del voto siciliani.
Le buone intenzioni rimangono spesso limitate agli annunci, vivono nel mondo “social” della comunicazione pubblica e istituzionale, ma prima che diventano leggi e non vengono falcidiate dalle impugnative, passa un tempo di mezzo senza fine. “Carrozzone della politica”, reclutamento per “avanzi di segreteria”, i malpancisti nei loro giudizi sul tema in questione si sono sempre sbizzarriti.
Dopo l’approvazione della legge 5/2014 che ha portato le strutture dei Consorzi di Bonifica da 11 a 2 (uno in Sicilia occidentale, l’altro in Sicilia orientale), delegando il governo a definire in dettaglio la macchina organizzativa, si è innescato un avvitamento che ha ancora produce effetti sostanziali di stallo. La terza commissione all’Ars da oltre due mesi sta lavorando al testo da portare a Sala d’Ercole, ma l’accelerazione finale ancora tarda ad arrivare. Quel che è certo che il vicepresidente della Regione Luca Sammartino non intende far slittare a dopo l’estate questo importante banco di prova.
Ci riuscira? Difficile oggi dirlo. In che termini potrà avanzare l’intera produzione legislativa dell’Ars in un parlamento paludato dove la crisi di governo è sempre dietro l’angolo, dipende anche dall’economia complessiva dei rapporti di coalizione. Uno degli scontri “a tema” più forti, in passato, ha riguardato la possibilità di scegliere tra un solo ente a carattere regionale con alcuni distretti territoriali e una struttura “con un attacco a tre o cinque punte”, per usare una metafora calcistica. È il caso della proposta avanzata nella scorsa legislatura dall’Autonomista Pippo Compagnone, ed era assessore Edy Bandiera. Sembrava arrivata a un passo la riforma di Toni Scilla, sponsorizzato dall’ex presidente dell’Ars Gianfranco Micciché, ma anche in quel caso, nessun esito è arrivato ad avere forma compiuta.
Nella fase di transizione per disciplinare la fase relativa alla fusione per incorporazione dei singoli consorzi nei due Consorzi di area vasta (Sicilia Occidentale e Sicilia Orientale), sono state emanate alcune linee guida che disciplinano di un riordino che avrebbe dovuto essere completato entro il 2018. Appena cinque anni fa. Le strutture servono oggi 200 mila ettari di superficie complessiva per tutta la Sicilia a cui così divisi: Consorzio di Catania (52 mila ettari di superficie irrigua), Palermo (18.500), Agrigento (47mila), Trapani (21mila), Caltanissetta (30.500), Gela (10mila) Enna (5.200), Caltagirone (8mila),
Ragusa (13mila), Siracusa (15mila), Messina (1.600).
Il personale complessivo di quello che molti definiscono una “macchina mangiasoldi” mette insieme 1.159 gli addetti a tempo indeterminato e 972 a tempo determinato mentre è pari a 55 milioni di euro l’anno il cofinanziamento della Regione. Gestire gli impianti complessivamente comporta un costo di circa 20 milioni di euro, per coprire i costi del chilometraggio dei dipendenti, le spese per il nolo dei mezzi meccanici, il materiale delle tubature, il sistema di forniture e i costi energetici.
Nel resto del Paese queste strutture sono gestite direttamente dagli addetti del settore e la mano pubblica interviene solo per coprire alcune categorie delle spese sopra citate. In Sicilia, non siamo proprio all’anno zero, ma la buona volontà dell’assessorato all’Agricoltura da sola non basterà a portare a casa il risultato.