“Il rischio è che il decreto Cura italia si riveli un’aspirina quando invece l’economia è un malato di cancro“. Parole che non lasciano spazio al fraintendimento quelle del presidente di Confcommercio Sicilia Francesco Picarella, che commenta così le misure varate dal governo per ridare fiato all’economia italiana, piegata dal blocco necessario per contenere la diffusione del coronavirus.
Per Picarella siamo di fronte a un DL di fatto senza respiro che, in assenza di un cambio di passo da parte del governo, decreterà la morte delle imprese più deboli lasciandone altre molto ammaccate, soprattutto nel Sud Italia. “D’altro canto – sottolinea il presidente di Confcommercio Sicilia –, il raffronto è tra i 25 miliardi messi sul tavolo dal nostro Governo nazionale contro i 500 della Germania. Questa non è Europa. Ne usciremo impoveriti pesantemente. Il tema, secondo noi, resta il differenziale tra noi e gli altri paesi. E in queste situazioni emerge con chiarezza“.
Tanti i dubbi di Picarella sulle misure del decreto, a cominciare da quelle messe a disposizione delle imprese, come quelle sulla cassa integrazione: “Demandare alle Regioni da un certo punto favorisce – afferma Picarella –, ma in Sicilia ci sono solo 41 milioni di euro per l’emergenza, molte aziende non riusciranno ad avere cig in deroga“. Con conseguenze letali per l’economia, secondo il presidente dell’associazione: “Un albergatore, per esempio – afferma Picarella –, con obblighi di non licenziare, non potrà considerare ail ‘sollievo’ della Naspi della quale usufruirebbe il proprio dipendente“.
Per Picarella l’intervento normativo nazionale, inoltre, non è sufficiente: occorre l’intervento della Regione: “Al presidente Musumeci chiesto di avviare a un incontro urgente, anche telematico, con le organizzazioni sindacali. Dobbiamo salvare il salvabile, serve un decreto della Regione per la cassa integrazione in deroga“, afferma. Poi ancora un riferimento al settore turistico: “La Sicilia è a prevalenza turistica, non sappiamo quando il mercato riprenderà – afferma -, c’è il rischio il 40-50% delle pmi non riapra più“.
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