Il viaggio verso il fine vita è sempre complesso da gestire. Accompagnare i pazienti e i loro famigliari in questo doloroso percorso, rendendo dignitosi gli ultimi mesi o anni che restano a disposizione non è solo un dovere morale. Fondamentale, in questo caso, è la componente umana delle cure che, però, non può essere lasciata alla buona volontà né all’empatia innata degli operatori.
Umanizzazione delle cure, nonché attenzione particolare per la formazione in ambito comunicativo è il focus della giornata organizzata dalla Samo onlus a villa Malfitano, a Palermo: otto ore suddivise tra lezioni su dimensione psico-emotiva, abilità comunicative, comunicazione non verbale e, soprattutto, gestione emotiva delle cattive notizie, in mattinata, e role-playing, nel pomeriggio, per mettere in pratica quanto appreso dagli interventi curati dalla psicologa Maria Antonietta Annunziata.
Curare o prendersi cura?
Con lo sviluppo tecnico-scientifico nel Novecento la medicina si è sempre più identificata con il curare. La comunicazione, quindi, è stata utilizzata più che altro solo per informare della diagnosi e per spiegare la terapia da seguire.
Poi, a partire dagli anni Ottanta la medicina tradizionale si è ampliata, abbracciando anche gli aspetti relazionali, che puntavano anche alla comprensione del vissuto di malattia di ogni singolo paziente, cosa che deve necessariamente essere accompagnata alla formazione professionale del personale sanitario.
“Nell’80% dei casi – spiega l’oncologa Tania Rinaldi, coordinatrice sanitaria regionale della Samo onlus – i problemi maggiori nei casi di pazienti terminali o di pazienti con malattie degenerative è la cattiva comunicazione. In oncologia, in particolare, il rapporto tra gli operatori, i pazienti e le loro famiglie si basa su un perno imprescindibile, costituito dalla comunicazione – prosegue – ma spesso si confonde la capacità empatica con le tecniche comunicative, che vanno invece studiate e affinate, nell’ambito di una formazione costante e continua”.
La Samo onlus, attiva da 30 anni, nelle sue quattro sedi dislocate tra Palermo, Catania, Agrigento e Trapani, vede una media di 7 mila pazienti all’anno – attivi al momento sono mille – affidarsi all’assistenza domiciliare gratuita circa 500 tra operatori socio sanitario, medici, psicologi, infermieri, fisioterapisti e assistenti sociali. Un approccio multidisciplinare in equipe che permette di rispondere ai bisogni dei malati e delle famiglie. È dimostrato che le cure palliative migliorano la qualità della vita e possono influire positivamente sul decorso della malattia, in particolare se iniziate prima che le problematiche cliniche diventino ingestibili. La comunicazione, dunque, riveste un ruolo imprescindibile sia per l’umanizzazione delle cure, sia per instaurare la fiducia necessaria alla “costruzione dell’alleanza terapeutica e all’aderenza ai trattamenti”.
L’aspetto umano è già una forma di cura, fisica e spirituale. In questo settore, la Sicilia insieme alla Lombardia è la regione più all’avanguardia d’Italia. L’obiettivo è di mettere completamente in pratica la legge 38 del 15 marzo 2010: “Ancora oggi ci sono casi in cui viene disattesa, ma è una legge bellissima, che onora la vita e che dovrebbe essere messa in pratica alla lettera. Il paziente che non può più avere accesso alle cure attive – ci tiene a sottolineare Rinaldi – secondo questa legge non viene abbandonato a sé stesso. Al contrario, è quello il momento in cui ci si può e ci si deve prendere cura di lui o lei e della sua famiglia, anche se in modo diverso. Noi possiamo prenderci cura di tutti i sintomi del fine vita e accompagnare con la sedazione palliativa tutti i pazienti che hanno sintomi incoercibili, come affanno, emorragie e dolore incontrollabile, senza che nessuno debba andare all’estero per porre fine a queste sofferenze. La vita la curiamo fino alla fine”, conclude.