Il recente esperimento del voto fuori sede per le elezioni europee ha rappresentato un’importante opportunità per gli studenti universitari italiani di far sentire la propria voce, nonostante le difficoltà logistiche e organizzative. Questa iniziativa ha coinvolto migliaia di giovani, evidenziando sia il loro desiderio di partecipare attivamente alla vita politica, sia le carenze di un sistema che necessita però ancora di urgenti miglioramenti.
Nel dettaglio, il maggior numero di richieste di voto fuori sede (9.398) è arrivato da studenti residenti nella Circoscrizione I (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia), seguiti da 7.713 studenti della Circoscrizione II (Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna), 5.824 della Circoscrizione III (Toscana, Umbria, Marche, Lazio), 642 della Circoscrizione IV (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria) e solo 157 della Circoscrizione V (Sicilia e Sardegna).
Questo dato mette in evidenza una notevole disparità nella partecipazione tra le diverse regioni, suggerendo la necessità di interventi mirati per facilitare il voto fuori sede, soprattutto nelle aree meridionali e insulari.
Cosa hanno votato?
Gli studenti fuori sede che hanno votato per la prima volta alle elezioni europee si sono mostrati prevalentemente elettori di sinistra. Alleanza Verdi e Sinistra (Avs) ha ottenuto infatti il 40,56% dei voti, seguita dal Partito Democratico (PD) con il 25,62%, Azione con il 9,74%, Movimento 5 Stelle (M5s) con il 7,69%, Stati Uniti d’Europa con il 7,67%, Fratelli d’Italia (FdI) con il 3,56%, Forza Italia (FI) con il 2,43%, e Pace Terra Dignità con l‘1,71%. La Lega, con solo 77 voti pari allo 0,55%, ha riscontrato scarso appoggio tra i giovani elettori.
Da militanti ad attivisti
Ma i giovani sono davvero disinteressati dalla politica? Nonostante tutto ciò si inserisca all’interno di un contesto più ampio di disaffezione verso la politica tradizionale, il mito persistente che vede proprio i giovani come lontani dalla vita pubblica sembra sempre venire meno. Le nuove generazioni risultano, al contrario, molto coinvolte in questioni come l’ambiente, la parità di genere e i diritti umani. Tutti temi che animano il dibattito pubblico grazie alla spinta di un’attivismo, ben lontano dalle logiche partitiche tradizionali. I giovani sembrano infatti non riconoscersi più nel ruolo di militanti, figure spesso legate a dinamiche interne ai partiti e alla lotta per il potere. Invece, preferiscono essere attivisti, impegnati su fronti specifici e capaci di mobilitare l’opinione pubblica attraverso azioni concrete. Questo passaggio da militanti ad attivisti si spiega con il disinteresse per le logiche di partito che dominano la politica tradizionale, spesso percepita come distante e autoreferenziale. Anche le organizzazioni giovanili all’interno dei partiti non riescono a colmare questo divario. Gruppi come gli Studenti per le Libertà di Forza Italia, i Giovani Democratici o Gioventù Nazionale di Fratelli d’Italia, pur con l’obiettivo di formare la nuova classe dirigente, sono spesso intrappolati nelle stesse dinamiche dei partiti madre, e non riescono a rispondere alle esigenze di rappresentanza di un elettorato più giovane e ormai fin troppo distante.
Una politica non al passo coi tempi
Il risultato è una politica che non solo appare vecchia e distaccata, ma che effettivamente lo è, con un’età media in Parlamento di 56 anni. Politici sotto i 30 anni sono una rarità tra gli onorevoli, ed evidenzia quanto i giovani siano poco rappresentati nelle istituzioni, e quanto sia difficile per loro trovare un proprio spazio in un sistema politico rigido e chiuso in dinamiche elettorali che non lasciano loro alcun tipo di spazio.
Questa scarsa rappresentanza politica si riflette anche nella percezione che i giovani hanno del proprio ruolo nel dibattito pubblico. Basti pensare alle ultime mobilitazioni per questioni come l’ambiente, il cui gruppo più celebre è quello di Ultima generazione, spesso criminalizzato e il più delle volte non capito fino in fondo, o alle manifestazioni pro-palestina, che hanno fatto discutere per gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine di qualche mese fa. Un attivismo quindi spesso bollato come sovversivo e mirato a colpire direttamente la loro capacità di esprimere dissenso e partecipare attivamente alla vita politica del Paese.
È chiaro quindi che la disaffezione dei giovani non è dovuta a un disinteresse verso la politica, ma alla percezione che la politica istituzionale non sia in grado di coinvolgerli realmente. Per cambiare questa situazione, è necessario ripensare le dinamiche di accesso e di azione dei partiti, rendendo la politica più inclusiva e aperta alle nuove generazioni.
È lecito chiedersi quindi se siano i giovani ad essersi allontanati dalla politica o se è quest’ultima a non stare più al passo con quelli che sono e saranno i nuovi temi che scalderanno i dibattiti del futuro, a cominciare dalla sempre più stringente questione ambientale.