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l'intervista

Elezioni, Cracolici tira le somme: “Pd ha perso. Urge congresso e decidere chi sarà alla guida”

martedì 11 Ottobre 2022
cracolici

Antonello Cracolici, rieletto all’Ars in quota PD, ha fatto un’analisi sullo stato di salute del partito dei dem in Sicilia, raggiunto telefonicamente da ilSicilia.it. Un vero e proprio bilancio sul voto, al netto del quale il deputato regionale propone un necessario cambio di passo.

Il bilancio post elezioni regionali. Quali sono le sue valutazioni?

“Il Pd ha perso le elezioni e deve riflettere su come provare a rivincerle. Ci sono diversi problemi, alcuni riguardano la vita interna del partito. Quando le sue regole finiscono per renderlo, paradossalmente, un partito irrigidito sulla vita correntizia, perché il sistema cosiddetto delle primarie aperte per decidere chi fa il segretario del Pd (ma questo vale sul piano nazionale), poiché gli eletti nell’assemblea nazionale vengono eletti su liste a sostegno del candidato a segretario, finiscono per creare quelle rigidità che poi tutti critichiamo. Dobbiamo affrontare il nodo delle modalità statutarie, io sono per l’avviso che gli iscritti debbano eleggere il segretario e non altri. Va fatta una preventiva campagna trasparente di adesione al partito democratico. Non vuol dire che affidiamo le elezioni del segretario del pd a chiunque, tranne che non si definisca preventivamente un albo degli per partecipare alla scelta del segretario. Diventa un sistema maggiormente trasparente”.

Cosa non è andato bene in questa doppia tornata elettorale? Secondo lei, la lista del PD era poco competitiva rispetto a quelle presentate dalle altre forze politiche?

“Ma guardi il PD, in quanto lista, non è andato malaccio, tranne in alcune province dove ci sono stati effetti connessi a situazioni anche complicate. Mi riferisco a Messina, abbiamo avuto una scissione in campagna elettorale, l’ex uscente che non si è candidato all’ultimo giorno. Segretari di partito che si sono dimessi, quello di Catania è andato con De Luca. Ci sono punti di crisi. Il problema è l’alleanza, noi abbiamo perso le elezioni prima di iniziare perché nel momento in cui ci siamo presentati con un’alleanza che si è frantumata alla vigilia della presentazione delle liste, mi riferisco alla vicenda del movimento Stelle, e questo ha finito per indebolire anche la prospettiva di vittoria. Abbiamo avuto persino difficoltà a fare una lista civica a sostegno di Caterina Chinnici, proprio perché è apparso che non eravamo più competitivi. E’ anche difficile riuscire a fare una lista civica con persone che non hanno militanza nei partiti, che non hanno organizzazioni alle spalle, quindi quell’ondata che si può creare in una campagna elettorale grazie all’effetto cosiddetto di competizione per la vittoria, è venuta meno”.

Lei era d’accordo ad allearsi con il M5S?

“Si, per 5 anni PD e M5S hanno fatto opposizione insieme anche a Cento passi, avevamo costruito un percorso comune in Parlamento come alternativa al centrodestra e del resto era l’unica prospettiva sulla quale si poteva lavorare. Venuta meno questa, è chiaro che abbiamo perso il giorno stesso in cui abbiamo presentato le liste. Evidente che non eravamo in campo per la vittoria”.

Conte ha tradito il patto, questo non vi ha aiutati.

“Non c’è dubbio che la mancata alleanza è anche conseguenza di una dinamica nazionale, penso ci sia stata una precipitazione eccessiva della vicenda romana con la rottura dei cinque Stelle che hanno fatto cadere il governo Draghi. Ma la politica è anche questo. Però diciamolo, bisogna anche tenere conto che con quella legge elettorale se ti presenti frammentato, hai già perso la partita prima di combattere e questo non ci ha reso attraenti. Abbiamo fatto una campagna elettorale, anche per nazionali, sapendo che non ce l’avremmo fatta indebolendo la nostra partita a Roma e alle regionali. A questo si aggiungono gli errori commessi nella formazione delle liste nazionali in Sicilia che hanno indebolito l’autorevolezza del partito siciliano nella stessa giornata in cui avremmo votato anche per le regionali. Il Pd si è presentato con un profilo quasi esterno alla Sicilia per quanto riguarda le espressioni delle candidature, almeno dei capilista. Il combinato disposto di questi elementi ha dato, in qualche modo, un colpo di grazia alla credibilità del Pd. Certo abbiamo preso 250 mila voti, non è un partito in disarmo, ma abbiamo un problema che non è solo organizzativo ma è anche politico. Non siamo riusciti a connetterci con quelle aree che diciamo di voler rappresentare ma che difficilmente si riconoscono in noi, parlo di disagio e di fragilità di alcune categorie meno protette dal sistema politico e che non si rivolgono al nostro partito . Se non affrontiamo questo nodo politico, il giorno dopo le elezioni discuteremo sempre che non prendiamo voti nelle periferie, ci lamentiamo che non ci siamo nei quartieri popolari. E’ una filastrocca che dura da molti anni  e non possiamo apparire come il partito del balbettio”.

Quali sono i temi?

“La battaglia per la povera gente è un tema identitario di questo partito e che dobbiamo recuperare”. 

Come valuta l’operato del segretario regionale Anthony Barbagallo? Poteva fare di più, ha fatto poco?

A Barbagallo rimprovero che non ha fatto pesare fino in fondo l’autonomia che il partito siciliano doveva affermare, tanto più votavamo per le elezioni regionali. Cioè la vicenda delle liste nazionali è apparso solo come un problema di chi non è stato candidato, nel caso specifico io che ero candidabile al Senato, ma alla fine ho deciso di non candidarmi proprio perché non ho accettato il fatto che i capilista non fossero siciliani. Ecco secondo me bisognava aprire un conflitto con la segreteria nazionale, e questo non l’ha fatto. Obiettivamente, siamo apparsi silenti, imbarazzati, accomodanti, non rendendoci conto del rischio e cioè che avremmo pagato un prezzo politico ed elettorale importante, cosa che è avvenuta. Non era mai accaduto che le elezioni regionali ci avrebbero consegnato un voto più ampio di quello che ha preso il PD in Sicilia per le nazionali. E’ chiaro che Barbagallo ha agito di concerto con il partito, abbiamo provato a tenere in piedi una prospettiva che è naufragata all’ultimo miglio”.

Secondo lei Barbagallo dovrebbe dimettersi?

“Credo che dobbiamo fare un congresso per ridefinire ciò che vogliamo essere e su quella base decidere anche chi dovrà guidare questa fase. Non sono per il dimissionamento, perché è una scorciatoia che risolve i problemi pensando siano solo di singole persone. Dopo le elezioni, e poi quando si perde, si cerca di trovare il capro espiatorio”.

Lei farebbe il segretario qualora proponessero il suo di nome?

“Il tema non è chi va a fare il segretario, ma è quale partito mettiamo in campo, su quale prospettiva lavorare per i prossimi mesi. Se non definiamo cosa vogliamo essere, il problema del nome diventa una barzelletta”.

A breve riprenderà l’attività parlamentare. Prospettive?

Dobbiamo connettere l’opposizione in parlamento con quella della società che c’è tra la gente. La partita non si chiude dentro un palazzo, ma occorre rappresentare i sentimenti delle persone. Ecco perché c’è bisogno di un partito. Noi non siamo una lista che si presenta alle elezioni, che elegge i suoi deputati e muore lì. Siamo un partito che vive prima della stessa rappresentanza parlamentare. La connessione sul territorio è fondamentale: se sei in grado di portare nel palazzo ciò che rappresenti nella società chiaramente il tuo ruolo diventa più forte. Se la battaglia d’opposizione è un mero fatto di singoli parlamentari, ovviamente avrà il limite di essere una sola cosa di palazzo”.

 

 

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