“Sulla Formazione professionale fino a questo momento sono caduti più assessori che enti”. La battuta, velenosissima e di pessimo auspicio, circolava più o meno un anno fa, alla vigilia della campagna elettorale per le elezioni regionali. Metteva a fuoco, esagerandola e dilatandola, una parte oggettiva di verità.
La tempesta perfetta dell’Avviso 8, il bando della Formazione professionale da 136 milioni di euro, caratterizzato da una miriade di ricorsi contrapposti che di fatto ne hanno paralizzato l’andamento, è solo una delle vicende che forniscono il corretto indicatore di quanto conflitto ci sia stato in un mondo che di suo, già vanta un primato di contraddizioni non indifferenti. L’appesantimento dei tempi e la ulteriore burocratizzazione della procedura relativa ai bandi sono state una delle costanti.
Oggi che si litiga, almeno in parte, di meno rispetto al recente passato, la aspettative riprendono da parte degli enti riprendono a lievitare in maniera sostanziale.
Anche l’ex assessore Bruno Marziano in passato aveva tentato con il governo “amico” del centrosinistra, una via breve che desse garanzie ai precari del settore, e ancor di più agli esodati a cui garantire lo scivolo. Senza riuscirci. Ecco perché, il tentativo di interlocuzione romana da parte della Sicilia rischia di nascere già morto in tal senso.
Le burocrazie e i governi romani vedono di pessimo occhio una settore che conta ottomila lavoratori. E se nella sua lettera al ministro Di Maio, il governatore siciliano Nello Musumeci ha evitato di entrare nel merito dei metodi di reclutamento del personale, sovrastimato, come egli stesso riconosce, ma ha posto la questione delle soluzioni (economiche) anche al governo nazionale, la cosa in sé non costituisce un vantaggio di posizione.
All’assessore Roberto Lagalla va riconosciuta la capacità di intestarsi mediazione e soluzioni, ma le vicende del settore negli ultimi anni insegnano che tra vincitori e vinti, nel mondo della Formazione professionale siciliana, lo scarto è breve e il passo è corto.
Ecco perché, risorse economiche da reperire e prepensionamenti a parte, una legge di settore che riformi in maniera qualificante le cose, potrebbe essere un discriminante in più per evitare di galleggiare pericolosamente in uno dei mondi più incontentabili della Sicilia.