A pochi giorni dalla consegna del premio Oscar alla carriera all’attore Michael J. Fox, si celebra oggi, 26 novembre, la Giornata nazionale al Parkinson.
La star di “Ritorno al futuro”, che oggi ha 61 anni, ha scoperto la malattia nel 1991, a soli 29 anni, e l’Academy di Hollywood ha voluto premiare Fox con il Jean Hersholt Humanitarian nel corso della cerimonia dei Governors Awards anche per il suo impegno per la ricerca.
Il Parkinson
E’ una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva.
E’ caratterizzata da rigidità muscolare che si manifesta con resistenza ai movimenti passivi, tremore che insorge durante lo stato di riposo e può aumentare in caso di stato di ansia e bradicinesia che provoca difficoltà a iniziare e terminare i movimenti. Questi sintomi si evolvono poi in disturbi dell’equilibrio, andatura impacciata e postura curva. A questi possono aggiungersi depressione e lentezza nel parlare.
La malattia ha un substrato anatomopatologico di degenerazione neuronale della sostanza nera (Substantia nigra pars compacta, Snpc) con una progressione graduale e un decorso prolungato.
Da un punto di vista biochimico sono state accertate, a livello della Snpc di soggetti parkinsoniani, una riduzione della quantità di dopamina, una minore concentrazione di neuromelanina (quindi una minore pigmentazione della Snpc), una riduzione dell’attività del complesso I della catena respiratoria mitocondriale e una minore attività dell’alfa-chetoglutarato deidrogenasi.
Sebbene l’eziologia della malattia di Parkinson non sia del tutto chiara, è ormai accettata l’ipotesi di un’origine:
genetica: come l’alfa-sinucleina (PARK 1/PARK 4), parkina (PARK-2), PINK1 (PARK-6), DJ-1 (PARK-7), LRRK2 (PARK-8) e la glucocerebrosidasi GBA;
fattori tossici: come esposizione a tossine (alcuni pesticidi e idrocarburi-solventi) e a metalli pesanti (ferro, zinco, rame).
Le ultime scoperte
Di recente, uno studio nato dalla collaborazione tra l’Istituto di biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’ospedale universitario di Würzburg in Germania, svela come la mancanza di coordinazione nei movimenti dipenda dall’incapacità di un’area del cervello (i gangli della base) di regolare le varie fasi del movimento a causa della perdita di un neurotrasmettitore, la dopamina.
Alberto Mazzoni, ricercatore dell’Istituto di biorobotica e responsabile scientifico del laboratorio di neuroingegneria computazionale spiega che “per risolvere malattie così complesse sia necessaria un’integrazione sempre maggiore tra analisi dei segnali e neurofisiologia clinica”.
Il prossimo passo, spiega Mazzoni, sarà sfruttare queste informazioni per rendere ancora più efficaci le terapie di stimolazione cerebrale profonda (Dbs), che possono ridurre molti dei sintomi della malattia di Parkinson.
“Abbiamo anche l’obiettivo piuttosto concreto – conclude – di inserire direttamente l’algoritmo negli impianti già utilizzati dai pazienti. Questo permetterà di aprire una nuova fase nella cura al Parkinson, passando ad un metodo capace di adattarsi alle esigenze dei pazienti”.
Altra recente scoperta è che la bilirubina influisce positivamente sul morbo di Parkinson. A dimostrarlo è uno studio nato dalla collaborazione tra Rita Moretti, neurologa e ricercatrice recentemente scomparsa, e la Fondazione Italiana Fegato Onlus.
Secondo gli scienziati la bilirubina, un derivato del catabolismo dei globuli rossi, previene la perdita di neuroni dopaminergici responsabile dei sintomi motori nel morbo di Parkinson.
Il lavoro ha, inoltre, permesso di identificare e dimostrare il ruolo dominante di una citochina infiammatoria, Tnf-alfa (tumor necrosis factor alpha), nell’indurre la sofferenza e successiva perdita di tali neuroni.