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La problematica

I giovani “Neet”, maglia nera per la Sicilia con il 32,2%: ma a Catania il trend sta cambiando

lunedì 2 Dicembre 2024

Con il termine”Neet” – acronimo di “Not in employment, education or training” (Non attivo in formazione, istruzione o lavoro) – si intendono i giovani, nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 29 anni, che non lavorano, né studiano né sono impegnati in stage, tirocini o apprendistato.

Secondo le recenti rilevazioni relative al 2023, la percentuale di giovani Neet in Italia è in generale elevata, del 16,1%, più che nel resto d’Europa in cui la media è del 11,2% , ma in calo di 2,9 punti percentuali rispetto al 2022 e di ben 7 punti rispetto al 2021. Le percentuali peggiori sono concentrate nelle Regioni del sud, soprattutto in Sicilia con il 32,2%, Campania con il 31,2% e Calabria con il 30,3%. Nelle Regioni del nord la situazione è più confortante, la media è dell’11,7%, con la provincia autonoma di Trento e Bolzano che fa registrare l’indice più basso, 10,1%.

La densità dei “Neet” per Regione

Un problema serio e radicato che affligge, chi più chi meno, tutte le Regioni italiane. Ma come (provare) risolverlo?

La Commissione Lavoro e Politiche Sociali del Consiglio Nazionale dei Giovani, in un documento volto a trovare delle soluzioni per l’ingaggio dei “Neet“, lo spiega sostenendo che “è necessario un accompagnamento costante della persona, per comprendere le sue difficoltà che molto spesso sono di diversa natura e sovrapposte (occasioni di lavoro precario e non tutelato, mancanza di competenze, mancanza di informazione sulle opportunità disponibili, difficoltà di movimento sul territorio, attività pseudo-lavorative da far coesistere con un percorso formale, difficoltà o responsabilità di cura nell’ambito della famiglia, scoraggiamento)“, aggiungendo che “l’attore istituzionale da solo non può far fronte a un problema così sfaccettato e “individualizzato”, ha bisogno che la sua azione, la quale non può che essere in una certa misura standardizzata, sia supportata e preparata dal contesto sociale e dai corpi della società civile. Serve un’ azione di contrasto alla precarietà che troppo spesso affligge le fasi iniziali (e non solo) delle carriere lavorative dei giovani. La diffusione di forme contrattuali non lavoristiche, di contratti a chiamata, della reiterazione continua di contratti a termine, di masse di contratti di apprendistato non confermati, diffondono silenziosamente scoraggiamento tra i giovani, in particolare tra quelli professionalmente più deboli e più bisognosi di tutela. Pertanto il contrasto alla precarietà attraverso il rafforzamento degli impianti sanzionatori per chi abusa delle forme di lavoro flessibili o dei contratti di formazione diventa un fattore strategico per l’instaurazione di prassi virtuose di utilizzo della flessibilità“.

 

Il dato europeo, l’Italia alle spalle della sola Romania
Viviana Lombardo

Il Sud, e in particolare la Sicilia, sono le regioni con l’indice più alto, ma come spiega l‘assessore alle Politiche giovanili del comune di Catania Viviana Lombardo, comune in cui il dato supera abbondantemente il 30%, il trend sta cambiando: “Catania, al pari delle altre città del Sud Italia sicuramente vede una presenza importante di giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non hanno un’impiego né hanno intenzione di attivarsi per ricercarlo o migliorare il proprio titolo di studio. Posso, però, dire da assessore alle politiche giovanili che vengo spesso contattata e si approcciano con me tantissimi giovani che invece dimostrano esattamente il trend opposto. Giovani che amano la propria città e che intendono spendersi per il proprio territorio. Abbiamo un trend – continua – assolutamente positivo di ragazzi che dopo aver emigrato per via della mancanza di lavoro, oggi vuole ritornare per mettere a disposizione della propria città le professionalità acquisite. Noto che molti più giovani, rispetto al passato, ha fiducia nelle Istituzioni e nel territorio e addirittura quando si laureano non pensano più a lasciare la propria terra e grazie allo sviluppo industriale e informatico che sta vivendo la città di Catania decidono di restare. Ci sono tante aziende che investono sulle start-up, quindi fonti di finanziamento importanti per i nostri giovani che aprono nuove aziende, grandi colossi che hanno deciso di investire a Catania e questo chiaramente grazie anche alla fiducia che si è creata da quando governa questa nuova amministrazione e ciò comporterà che tantissimi dei nostri giovani che si laureeranno nei prossimi anni troveranno immediatamente impiego qui a Catania, per fare un’esempio l’ST assumerà circa 3000 ingegneri tra elettronici e informatici.  La situazione certamente non è rosea, ma sicuramente in miglioramento rispetto gli scorsi anni”. 

Come amministrazione comunale –  conclude –  abbiamo attivato la Consulta Giovanile che era ferma da tanti anni e questi ragazzi, molto determinati e volenterosi, stanno dando realmente il proprio contributo in maniera concreta con iniziative di alto livello e poi grazie alla collaborazione con l’Università di Catania lo scorso anno siamo stati premiati a Napoli tra le 5 città più giovani d’Italia. Catania è una delle 5 città considerate più giovani quindi più adatte ai giovani per cui sicuramente noi stiamo creando quella base che consentirà ai nostri ragazzi di vivere più serenamente nel nostro territorio“.

Il presidente Giovanni Magni

Credo che il problema sia anzitutto di origine culturale”, spiega invece il presidente della Commissione Politiche Giovanili Giovanni Magni. “In qualità di Presidente della Commissione che si occupa anche di istruzione, ho avuto – purtroppo – la possibilità di constatare un tasso di dispersione scolastica altissimo sopratutto in Sicilia e dunque anche a Catania. Promuovere nel modo meno coercitivo possibile l’esigenza primaria dell’istruzione è quello che occorre fare e per cui ci stiamo impegnando: abbiamo sul punto già votato un nuovo regolamento sulla refezione scolastica perché crediamo che possa essere una attenuante della dispersione ma sappiamo che ancora c’è tanto da fare. L’influenza delle competenze educative è il primo vero passo per abbattere il problema. Credo – continua – che i maggiori spazi di intervento vadano destinati alle generazioni future e non a coloro che già hanno “smarrito” in modo irrecuperabile la consapevolezza di dover studiare e/o lavorare. È anche vero però che il dato sembra essere diminuito in epoca post Covid. Con riferimento al meridione e in particolare a Catania, stimolare alla necessità dell’istruzione è il primo vero grande passo: poi occorrerebbero anche interventi di tipo più tecnico, a cominciare dalla valorizzazione dei corsi professionali per mestieri che nessuno più vuole fare. È chiaro – conclude – che non si può fare tutto in una volta e subito, ma si tratta certamente di uno dei più grandi problemi della nostra terra che stiamo affrontando“.

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