Dov’è finita la filosofia nel Ventunesimo secolo?
È forse il cinema che ha recuperato la tradizione filosofica che ha contraddistinto nei secoli scorsi l’amore dell’uomo per la conoscenza e per il libero pensiero?
Nell’antica Grecia, la filosofia, l’arte del pensiero, prima di trasformarsi in speculativa, fu la più nobile delle discipline che segnarono e tracciarono la strada dell’“uomo antico” per la migliore conduzione del “modo di vita”, dello stile di vita diremmo oggi, desunto attraverso la pura e libera riflessione che lo conducevano verso la saggezza, sani principi erti ad etica, morale ed estetica condivisi nella cultura di allora. Secondo l’accezione e la prospettiva di Gilles Deleuze (1925-1995), è il cinema che nel secolo scorso, il Ventesimo secolo, impetuosamente e degnamente, ha preso il posto della filosofia.
Il cinema, allora, è l’“arte del pensiero” che ha sostituito la filosofia?
Il cinema oggi sembrerebbe essere, insieme ad altre forme di comunicazione quali quelle social in senso lato, la filosofia del Ventunesimo secolo: detiene il potere di creare immagini, di creare concetti, di stimolare il pensiero e la riflessione, di narrare storie che incidono nella mente dello spettatore, di tracciare, in sostanza, la strada che conduce a “stili di vita” che s’ispirano all’etica, alla morale e all’estetica dell’uomo contemporaneo, dell’uomo del Ventunesimo secolo, dell’“uomo moderno”, o se vogliamo dirla con un termine attuale, dell’Homo technologicus.
Ma perché oggi è attuale, per chi ama il cinema e per chi ama l’arte del pensiero speculativo qual è la filosofia contemporanea, leggere o ri-leggere Deleuze?
La teoria di Gilles Deleuze proposta tra il 1983 e il 1985 con i suoi due saggi sul cinema e la filosofia – “L’immagine-movimento. Cinema 1” e “L’immagine-tempo. Cinema due” – è una delle connessioni speculative più interessanti della cultura della settima arte dell’ultimo secolo. Associare la filosofia al cinema ebbe degli aspetti estremamente originali e al contempo interessanti. Se da un lato la filosofia è concepita come generatrice di riflessioni astratte e complesse divenendo pensiero; il cinema è generalmente concepito come generatore di flussi di immagini, combinate a narrazioni, musiche e suoni, di apparente facile comprensione per lo spettatore. Entrambi le arti – se possiamo definire la filosofia quale arte del pensare – nella cultura contemporanea del Ventunesimo secolo hanno un’importanza che nessuno oserebbe negare. La filosofia aiuta l’uomo a concepire concetti e idee, quindi genera pensiero; il cinema, nella continua creazione di flussi di immagini e narrazioni, stimola in modo potente e subliminale la riflessione e il ragionamento dello spettatore creando a sua volta pensiero. Da questa prospettiva teorica deleuziana, entrambe le arti conducono l’uomo allo stesso processo: il pensare.
L’intuizione di Deleuze sta proprio in questo concetto: connettere i due processi – cinema e filosofia – in modo tale che l’una favorisca il disvelarsi dell’altra e l’altra dell’una. Il cineasta e il filosofo sono accomunati dalla stessa necessità, quella di creare e di rappresentare concetti: è necessario, in entrambi i casi, elaborare e possedere un “messaggio” da comunicare al mondo. Da questa prospettiva, chiedersi cos’è il cinema è la stessa cosa che chiedersi cos’è la filosofia.
Partendo da questa premessa, l’elemento più interessante delle teorie di Deleuze sul cinema e la filosofia, è certamente quello della capacità che ha il cinema di scatenare nello spettatore forme di creazione concettuale a partire dalle immagini, dal flusso di fotogrammi, dalla narrazione della storia cinematografica. Sono il “fare-cinema”, l’“azione-creativa”, l’operatività che mette in scena la narrazione per proiettare sul grande schermo la creatività di chi ha scritto l’opera cinematografica, gli elementi cardine concepiti da Deleuze: il processo del fare che produce qualcosa che è in divenire. Un flusso di immagini e di narrazioni che genera nello spettatore un flusso di pensiero, una metamorfosi legata al cambiamento e al fare in divenire. È il pensiero che si genera che si proietta nel cambiamento, nel passaggio da una configurazione concettuale ad un’altra. Il cinema – come le arti visive e la letteratura – secondo Deleuze ha proprio queste caratteristiche: generare concetti attraverso l’ermeneutica, correlando il senso all’idea come sviluppi inesorabili del flusso di pensieri che vengono generati. Attraverso le immagini, i suoni, le musiche, i dialoghi, la capacità creativa e meta-creativa dello spettatore vengono stimolate e trascinate verso un flusso di pensieri che organizzano idee che subiscono mutamenti ma che alla fine conducono a prospettive assolutamente nuove e imprevedibili. Il cinema rappresenta pertanto uno strumento privilegiato e molto potente di configurazione e di creazione di concetti e di idee nuovi. Un movimento intellettivo che per certi versi diviene automatico – seppur stimolato inizialmente dalla produzione cinematografica – e capace di sviluppare pensiero e di elaborare concetti. Il cinema – la proiezione cinematografia senza soluzione di continuità sul grande schermo – è in grado di determinare processi mentali e speculazioni intellettuali assolutamente nuovi per lo spettatore. In una parola, lo spettatore che assiste ad un’opera cinematografica è costretto a pensare. Una capacita di pensiero che chiaramente è diversa da soggetto a soggetto a seconda delle sue capacità di analisi e di critica interiore che hanno origine dalle stimolazioni ricevute dalle “immagini in movimento” e dai “dialoghi della narrazione”. Nello spettatore si attiva sempre e comunque il pensiero e la riflessione intima e interiore. Il cinema attiva e stimola la capacità di pensare e la capacità di creare concetti nuovi.
Con questi due saggi del secolo scorso, sempre molto attuali – riletti e analizzati brillantemente nel 2012 da Daniela Angelucci nel suo saggio “Deleuze e i concetti del cinema” edito da Quodliber che abbiamo letto con molta attenzione – Deleuze si propone proprio questo: nobilitare la “settima arte” a disciplina che stimola e accompagna il libero pensiero dell’“uomo moderno” a “stili di vita” che sanno creare l’etica, la morale e l’estetica contemporanei. Alimentare la mente di sana cultura per divenire saggi vuol dire alimentarla di buon cinema.
Parafrasando Aristotele, potremmo dire che chi pensa che nel Ventunesimo secolo per essere donne e uomini al passo coi tempi, colti e stimolati nel libero pensiero, non sia necessario andare al cinema o vedere film, dà l’addio alla vita poiché tutte le altre arti al confronto appaiono solo come chiacchiere e vaniloqui. [«Chi pensa sia necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l’addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui». (Aristotele, Protreptico o Esortazione alla filosofia, 350 a.C.)].
Breve sinossi dei sue saggi:
“L’immagine-movimento. Cinema 1”
«Nel saggio del 1983, vengono presentati i tre stadi in cui lo spettatore pratica “il transfert” dalle immagini ai concetti, l’immagine-percezione e l’immagine-affezione. Questo è il cinema tipico della narratività classica in cui le percezioni senso motorie dettano la trama del film, e i nessi causali all’interno della storia sono espliciti e ben chiari agli occhi dello spettatore. Questo primo tipo di cinema è anche chiamato “organico” in quanto lo spettatore in esso riesce ad orientarsi grazie all’organicità dell’azione dei corpi che vede scorrere nelle immagini sullo schermo.»
“L’immagine-tempo. Cinema 2”
«Nel saggio del 1985, troviamo invece l’esplicazione del rapporto tra tempo e movimento: vi è un inversione, qui è il tempo a dettare le regole dello svolgimento del film in cui vi è la subordinazione dell’azione. E proprio come il cristallo appare nella sua costitutiva doppiezza, così il tempo si propone nella sua costitutiva virtualità ed indiscernibilità. In questo contesto cinematografico i nessi sono interrotti, il narrativo è spezzato, discontinuo, proprio perché è il tempo in persona che fa la sua comparsa: a creare il cristallo è l’operazione fondamentale del tempo, che si scinde continuamente in passato che si conserva e in presente che passa tendendo verso il futuro.»
Gilles Deleuze
https://www.filosofico.net/deleuze.htm
https://it.wikipedia.org/wiki/Gilles_Deleuze
I libri citati in questo scritto sono stati rieditati in Italia da Einaudi:
Gilles Deleuze, “L’immagine-movimento. Cinema 1”, Piccola Biblioteca Einaudi Ns, Torino, 2016.
(Prima edizione francese 1983. Ultima edizione italiana di Einaudi 2016).
Gilles Deleuze, “L’immagine-tempo. Cinema 2”, Piccola Biblioteca Einaudi Ns, Torino, 2017.
(Prima edizione francese 1985. Ultima edizione italiana di Einaudi 2017).
Daniela Angelucci:
https://www.facebook.com/daniela.angelucci.758
Daniela Angelucci, “Deleuze e i concetti del cinema”, Quodliber editore, Macerata, 2012:
https://www.quodlibet.it/libro/9788874624744#.UUhQUDfxkpE
Andrea Giostra
https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/
https://andreagiostrafilm.blogspot.it