Carissimi,
“Che fece oggi il Palermo?” Attenzione alla risposta: “Due e ziero! Vinciemmu“.
In questa risposta le motivazione del perché le sorti calcistiche di questa città, a meno di sparuti momenti, sono sempre state destinate alla tribolazione. Tranquilli, sono consapevole che fin quando si parla di politica, di economia, finanche di religione, si può tentare di imbastire un discorso dialettico, ma non appena a Palermo parli del “Palermo”, come si dice dalle nostre parti: “A stari attentu a chiddru ca dici!”
Pertanto anticipo una frase che è seconda (forse) solo alla frase che campeggia nei dollari americani (“In God We Trust “) nel mio caso “Forza Palermo“. Per dimostrare le motivazioni della mia convinzione utilizzerò dei costrutti lessicali prettamente da marciapiede palermitano e quindi chiedo la benevolenza di non segnarmeli quali errori grammaticali.
Ritorniamo alla risposta iniziale (2 -0), “vinciemmu” (abbiamo vinto) ammirevolmente come a volere legare la prestazione dei giocatori al tifoso, come se quest’ultimo fosse sceso in campo.
Attenzione, se la risposta fosse stata (0 – 2), “Ziero e dui” nella stragrande maggioranza dei casi la considerazione successiva sarebbe stata “piersiro” (hanno perso), come a voler prendere le distanze dalla squadra. Ciò accade solo a Palermo, “vinciemmu-pirdieru”, fin dai tempi del mitico “Lampo Sport” e forse ancora prima. Il “Palermo” seppur la squadra del nostro cuore è per la quasi totalità dei palermitani un’entità a parte.
La squadra è lo specchio della città e quindi perché proprio il “Palermo” in controtendenza storica dovrebbe essere l’unica realtà ad andare bene nel suo contesto?
Mi sono chiesto “se oggi fosse vivo il Gattopardo, siederebbe in tribuna autorità?”
Per non offendere nessuno, prendo a prestito il principe Don Fabrizio di Salina, per ipotizzare l’atteggiamento della “nobiltà” o della ricca borghesia di questa città, un personaggio tra lo storico e il letterario al quale abbiamo spesso addebitato la sentenza sul nostro modo di essere e sulle nostre sorti apparentemente cangianti ma immutabili nel tempo. Se ho compreso bene l’indole del personaggio, si guarderebbe bene dall’entrare nella proprietà di questa società e rifiuterebbe qualunque biglietto di tribuna autorità con la stessa convinzione con la quale rifiutò lo scranno di senatore (lasciandolo a chi ha necessità di mettersi in mostra, di chi nuovo arrivista ha bisogno di presenziare per distinguersi dagli altri e brillerebbe per la sua assenza).
Il Gattopardo comprerebbe l’abbonamento per un posto in tribuna, il numero uno, il più caro, per lasciarlo ogni domenica vuoto, affinché chi deve sapere, chiunque arrivi alla proprietà di questa società, sappia che il “principe è un importante amico” della squadra, ma senza lasciarsi coinvolgere con la sua immagine.
Il Gattopardo sarebbe pronto a dedicare un brindisi da illustre sostenitore a seguito di un prestigioso successo o a raccogliere, costernato e in rigoroso silenzio, le proteste e le indignazioni dei tifosi traditi dai risultati di una proprietà “piemontese” (come definirebbero i suoi coevi, tutto ciò che viene dal nord) che oggi sentono terribilmente lontana.
Quindi anche davanti alla nostra storia che cosa è cambiato? Un abbraccio, Epruno.